La cura del malato: tradizione o vocazione?

Ieri abbiamo vissuto la giornata del malato, un momento nel quale la Chiesa ricorda l’importanza della sua missione per alleviare le pene degli indigenti e di coloro che versano in situazioni di disagio, non solo fisico ma anche psicologico. Nella società dell’usa e getta, l’anzianità non è contemplata e, men che meno, la malattia, costantemente allontanata attraverso il ricorso a cure eccessive e a soluzioni estemporanee (es: chirurgia estetica) che invano bloccano il corso inesorabile del tempo. Però, riavvolgendo il nastro della storia, potremmo scoprire quanto, al contrario, fu determinante la cura degli ultimi per la diffusione del messaggio cristiano nei primi secoli. 

Gesù medico

Gesù ha a cura i malati, i sofferenti e gli ultimi, Aspetto davvero rivoluzionario, se messo a raffronto con il quadro cultuale dell’epoca. Già in Mc 2,17 ne abbiamo una testimonianza quando Gesù si presenta come un medico in mezzo al suo popolo. Medico non solo del corpo ma anche dell’anima, stando ai sinottici. Harnack (1902) ha sottolineato abbondantemente questa caratteristica gesuana, notando come Gesù «non fa una rigorosa distinzione tra malattie del corpo e dell’anima, ma le prende piuttosto tutte come diverse manifestazioni dell’unico grande dolore umano. Non c’è infermità morale dalla quale egli rifugga – peccatori e pubblicani si trovano sempre tra i suoi seguaci –, non infermità fisica gli sembra troppo ripugnante».1 In questo modo, egli guadagna discepoli d’ogni età e sesso, guariti perché hanno creduto in lui, cioè perché hanno colto sul suo volto e nelle sue parole il principio stesso della salute ovvero la conoscenza di Dio. Harnack poi prosegue avanzando una personale chiave di lettura in merito al rapporto tra sanità fisica e sacro: «la religione era stata, in origine, non per i malati, ma per i sani. La divinità voleva adoratori puri e sani. I malati ed i peccatori passavano per essere caduti in balia di potenze tenebrose. Potevano sforzarsi di riguadagnare, se era possibile, da qualche altra parte la salute del corpo e dell’anima: solamente dopo guariti potevano diventare accetti agli dei».2

Ecco allora una possibile innovazione del messaggio cristiano: i seguaci di Cristo non rifuggono i malati, ma anzi ne vanno alla ricerca per guarirli e salvarli. Sebbene siamo a conoscenza, nel mondo giudaico, di un’assoluta attenzione nei confronti dei sofferenti, allo stesso tempo ricordiamo come le prescrizioni della Torah, soprattutto in merito alla purezza, limitassero molto l’accostamento di uomini e donne impuri al Tempio. Ad esempio, nel Levitico, quando si menzionano le norme prescrittive per il sacerdote preposto al compito sacro, l’integrità fisica rientra tra i presupposti fondamentali e discriminanti. Un uomo non sano, dunque impuro, non avrebbe potuto ricoprire tale incarico né tantomeno avvicinarsi al Tempio. Solo i sani potevano accostarsi al sacro. Questo non significa che la cultura giudaica relegasse in un angolo i sofferenti ed i malati, in quanto la purezza era obbligatoria almeno per i curatori delle funzioni sacre, però ci è utile vedere come, invece, l’annuncio cristiano valicasse ogni sorta di confine Ma, allargando lo sguardo anche verso la religione tradizionale, le cose non erano diverse. Infatti, nel mondo greco, il sacerdote, scelto dalla comunità per occuparsi delle “cose sacre”, oltre ad essere ovviamente a sua volta un cittadino, legalmente riconosciuto, doveva dimostrarsi integro tanto a livello morale quanto fisico. 

Gesù, stando a quanto riportano i curatori delle prime memorie cristiane, si qualifica come un medico pronto non solo a guarire l’infermità fisica di tutti (numerosi sono i casi di guarigioni prodigiose nei racconti evangelici) ma ad offrire la salvezza eterna dalla condizione di peccato. Ed immaginiamo quale presa avrebbe potuto avere un annuncio così potente in un’epoca segnata dalla caducità della condizione umana, con il dilagare di guerre e pestilenze che lasciavano sgomenti e inermi molti. Al punto da rivolgersi alla comunità cristiana per ottenere guarigione. Infatti, il Cristianesimo si sarebbe definito come la “religione della salute” e la “medicina dell’anima e del corpo” per un genere umano evidentemente in uno stato drammatico, quasi disperato. Il Vangelo diventava allora il farmaco utile a curare una serie di morbi che attaccavano il sistema immunitario della società romana. Ma era l’eucaristia la vera medicina che rimetteva i peccati e donava all’uomo la salvezza. 

Dunque, la Chiesa antica continuò a presentarsi come il gran sanatorio, il lazzaretto dell’umanità: i pagani, i peccatori, gli eretici erano i malati, le dottrine e le opere della Chiesa le medicine, i vescovi e i pastori dell’anime erano i medici, e in quest’attività essi si reputavano servi di Cristo, il medico delle anime per eccellenza.3

Allorché il risanamento dei malati non era possibile, la comunità aveva il dovere di assisterli, confortandoli, visitandoli e somministrando ad essi i mezzi necessari (di regola in natura). Ai malati, come categoria speciale, s’avvicinano molto «gli afflitti, gli infermi d’animo, i derelitti e gli inabili al lavoro, e quindi i poveri in generale. Preposti a questo ministero di carità erano i diaconi, le vedove, e le diaconesse (queste ultime, come sembra, soltanto in Oriente)».4 Il tema della malattia può, dunque, essere allargato alla semplice infermità fisica e racchiudere una corposa casistica di uomini e donne affette da un malessere. E doveva risultare abbastanza chiaro per i cristiani il rimando l’eco del Vangelo di Matteo («Sono stato malato e voi mi avete visitato. […] Ciò che avete fatto ad uno di questi miei fratelli, l’avete fatto a me», Mt. 25, 43-45). Gesù pose al centro della religione cristiana l’assistenza amorevole ai malati. Nella Lettera di Giacomo (Gc 5,14-15) troviamo inoltre un elemento importante, dimostrando come il soccorso ai malati fosse una prerogativa, quasi un ufficio della Chiesa:

«Chi è malato, chiami presso di sé i presbìteri della Chiesa ed essi preghino su di lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo solleverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati».5

Allora oggi, sull’esempio offerto dalle Scritture e in previsione della Quaresima, possiamo cambiare prospettiva sul malato e vedere in esso Cristo stesso. Conosco amici profondamente trasformati dopo aver fatto apostolato negli ospedali e nelle case di cura. Oggi possiamo fare un’esperienza simile anche noi, prendendoci cura di un “malato” che abbiamo accanto a noi. Non deve essere per forza anziano ma anche un collega che sta affrontando un periodo brutto e cerca consolazione, un padre che lotta nell’affrontare una malattia, un compagno di classe depresso. Da questi piccoli gesti si vede la gloria di Dio!

Emanuele Giuseppe Di Nardo

1 Adolf von Harnack, storico e teologo tedesco, autore di una pietra miliare per lo studio del cristianesimo delle origini: Missione e propagazione del cristianesimo nei primi III secoli, 1902, pp. 75-78.

2 Harnack, 1902, cit., pp. 75-78.

3 Harnack, 1902, cit., p. 84.

4 Harnack, 1902, cit., p. 120.

5 Gc 5,14-15. Bibbia Edu. Trad. CEI 2008: «ἀσθενεῖ τις ἐν ὑμῖν; προσκαλεσάσθω τοὺς πρεσβυτέρους τῆς ἐκκλησίας, καὶ προσευξάσθωσαν ἐπ’ αὐτὸν ἀλείψαντες ⸀αὐτὸν ἐλαίῳ ἐν τῷ ὀνόματι τοῦ κυρίου· καὶ ἡ εὐχὴ τῆς πίστεως σώσει τὸν κάμνοντα, καὶ ἐγερεῖ αὐτὸν ὁ κύριος· κἂν ἁμαρτίας ᾖ πεποιηκώς, ἀφεθήσεται αὐτῷ».

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