“Sono cristiano!”
Quanto costa, al giorno d’oggi, essere chi siamo realmente? Quanto costa poter andare in giro e vivere serenamente e coerentemente la propria vita? Quanto costa, in sostanza, mostrare ciò in cui crediamo? Questa serie di domande non dovrebbe sconvolgere nessuno dato che viviamo nella società dell’inclusione, nella quale tutti sono ammessi con pari diritti e altrettanti doveri, per la quale ogni forma di diversità si presenta come una delle tante tessere di un bellissimo mosaico. Ma è davvero così? Riusciamo a mostrarci agli altri per quello che siamo realmente?
Facciamo un passo indietro nella storia, fino ad arrivare ad uno sperduto paesino nella Numidia (più o meno l’attuale Tunisia) di nome Scili, nel quale il 17 luglio 180 dodici cristiani affrontarono un processo che li avrebbe poi portati al martirio. Il documento che riporta fedelmente le dichiarazioni del processo (gli Acta Martyrum Scillitanorum) rappresenta per gli storici del cristianesimo la prima certa attestazione della letteratura cristiana in lingua latina e la prima notizia cronologica sulla presenza della Chiesa nel Nord Africa. Ci troviamo sotto l’impero di Marco Aurelio e, come sarebbe accaduto anche altrove, la presenza crescente dei cristiani era monitorata dai governatori provinciali i quali, almeno fino al III secolo, furono promotori di alcune forme contenitive e repressive verso le comunità di fedeli sorte nei territori sotto la loro giurisdizione. Semplifico abbastanza il discorso per aiutarti a comprendere quanto fosse ancora prematuro parlare di “persecuzioni anticristiane”, nonostante in alcune parti dell’Impero la repressione non fu così tenue. Il proconsole Saturnino convoca i dodici imputati nel secretarium ovvero nell’ufficio privato del magistrato nel quale si sarebbe svolto il processo. I cristiani si fanno rappresentare da Sperato, colui che parla a nome del gruppo. È interessante vedere come il proconsole cerchi di portare i cristiani all’abiura, seguendo il precetto lasciato anni prima dall’imperatore Traiano al proconsole Plinio il Giovane nel loro carteggio (“Chi avrà negato di essere cristiano e l’avrà provato con i fatti, cioè venerando i nostri dei, anche se è stato sospetto per il passato, ottenga il perdono in seguito al suo pentimento”). Saturnino, insomma, appurata la fede cristiana degli imputati, offre loro anche un periodo di trenta giorni per riflettere e ritrattare le proprie posizioni: offerta categoricamente rifiutata attraverso Sperato che dichiara “in cosa tanto giusta non occorre altra decisione, io sono cristiano”. I dodici, non ritrattando, andarono incontro alla morte per decapitazione.
T’invito davvero a recuperare su internet la versione tradotta in italiano di questo processo perché, per quanto sia stringata e poco retorica, offre un grande spunto di riflessione sulle domande che ci siamo posti all’inizio di quest’articolo: quanto costa essere cristiano, oggi come nel 180 d.C.? Domanda da un milione di euro! Sperato e gli altri martiri avrebbero potuto abiurare, sacrificando al Genio dell’imperatore, in cambio della pace e della vita. Eppure non lo fanno perché sentivano qualcosa dentro, un premio ben più grande dell’esistenza: la vita eterna! Questo è il paradosso del cristiano che vive la vita terrena proiettato però al cielo. Di conseguenza, quando il mondo ti offre cose allettanti, anche quelle all’apparenza più belle e giuste, c’è davanti un traguardo ben più grande alla presenza del quale ci attende un premio che non può essere quantificato in termini concreti ma che dà senso a tutto.
Nella vita di tutti i giorni, per quanto desideri ardentemente vivere il Vangelo e renderlo pratico nelle scelte quotidiane a lavoro così come nello studio e nelle relazioni, arriva un momento nel quale diventa difficile essere fedeli all’Amore di Dio: ciò non significa che, perché una persona inciampa o cade, allora diventa cattiva e scristianizzata. Anzi, Dio Padre da noi vuole altro. Una volta, un amico che per me è un riferimento nella fede mi disse questo: “Pensi davvero, Ema, che Dio da te voglia le cose belle? Pensi che Lui sia buono solo se gli presenti i tuoi successi, le tue lauree, i tuoi progetti riusciti? Certo, essendo Padre, sarà contento e benedirà i tuoi passi ma ciò che Dio vuole davvero da noi sono i nostri limiti, i nostri peccati, le nostre debolezze. Siamo davvero amati da Lui solo se ci presenteremo con una borsa piena di fallimenti perché da essi Lui fa emergere ciò che davvero ci rende speciali ed unici”. I martiri scillitani, per tornare al passaggio di prima, non furono coraggiosi o valorosi solo grazie alla loro fede. Certo, è innegabile che avessero una fede salda per affrontare il proconsole e accettare la morte. Ma loro, come tanti altri esempi nella storia, giunsero al martirio perché, presentando a Dio le loro debolezze, trovarono in Lui una forza che non poteva essere solo frutto della volontà umana.
Allora oggi t’invito a guardare il tuo cammino: anche quando sembra che tutto vada bene, ad un certo punto subentra la stanchezza e forse arriva qualche caduta. La caduta fa parte della crescita, come i bambini che provano a muovere da soli i primi passi e cadono perché le gambe non sono ancora strutturate per fare quel movimento. Eppure, camminare è un istinto naturale per il bambino che non si ferma di fronte a nulla. Lo stesso possiamo fare noi: se ti senti a terra, se percepisci una caduta nella tua vita di fede, se senti che chi ti sta accanto quasi ti atterrisce dicendoti “ma non ti preoccupare, che t’importa se sei caduto, pensa a vivere l’oggi senza pensieri” ma tu percepisci nel profondo del cuore la voglia di rialzarti e chiedere perdono a Dio, vai da Lui, presentagli le tue miserie momentanee e fa un grande atto di umiltà. Riconosci che da solo non puoi nulla ma solo con la forza del Padre riesci a camminare. Questo esercizio quotidiano, se fatto con fede, ti farà rialzare, camminare e, infine, correre verso la meta finale. Quando tutto il mondo sembra essere contro i tuoi desideri di santità, rispondi come Sperato: “Io sono cristiano e voglio vivere la mia vita puntando in alto, puntando al cielo e assaporando un antipasto di santità già qui sulla terra”. Abbi coraggio, abbi fede, abbi speranza nella misericordia di Dio. Solo così potrai essere un martire ovvero un testimone!
Emanuele Giuseppe Di Nardo
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