Pietro e Paolo: due stili diversi e complementari
Questa mattina sono stato a messa ma è accaduto un evento che personalmente mi ha riempito di grande gioia: infatti, oggi ricorre il 64° anniversario d’ordinazione sacerdotale di don Panfilo, un vero e proprio padre spirituale per me. Per chi è della Diocesi di Chieti-Vasto, don Panfilo rappresenta un faro nell’accompagnamento, nel discernimento e nella cura pastorale. Per l’occasione, ha concelebrato un giovane sacerdote, mio carissimo amico, don Gianmarco, con il quale sono cresciuto negli anni nella stessa parrocchia. Durante la celebrazione, mi sono soffermato a vedere questi due sacerdoti, accumunati dalla medesima missione e in due momenti speciali della loro vita: da una parte un maturo testimone di Cristo e dall’altra un giovane sacerdote al suo secondo anno d’ordinazione.
Vederli insieme mi ha riportato a riflettere sulla speciale festa che oggi accumuna tutta la Chiesa: la ricorrenza dei santi Pietro e Paolo. Non è un caso che ogni anno i vescovi ordinino i nuovi sacerdoti proprio in questa data: in passato, le diocesi vivevano questo momento solo il 29 giugno, mentre adesso le ordinazioni sono spalmate su più giorni. Don Panfilo e don Gianmarco mi hanno proprio dimostrato la differenza e, al tempo stesso, il forte legame tra i due Principi degli Apostoli. Se Pietro era il testimone oculare di Cristo, membro del Cenacolo, colui che visse a stretto contatto con Gesù condividendo anni insieme a Lui fino alla morte e alla sua resurrezione, Paolo invece è il missionario per eccellenza, colui che non ebbe la possibilità di vivere a contatto diretto con Gesù ma che, nonostante questo, spese tutta la sua vita per l’evangelizzazione, fino ad essere considerato da alcuni storici il vero fondatore ed organizzatore della religione cristiana. Pietro e Paolo erano, anche sotto il profilo umano ed esperienziale, due uomini nettamente diversi: Pietro il pescatore, uomo pragmatico e diretto, sempre pronto a rappresentare la voce dei discepoli anche a costo di risultare fuori luogo nelle sue dichiarazioni; Paolo è il fariseo dalla vasta cultura, vero e proprio cittadino del mondo, strenuo difensore della Legge e leader delle future comunità cristiane sparse sul Mediterraneo.
Sicuramente Paolo riconobbe sin da subito l’autorità di Pietro all’interno della comunità cristiana, chiamandolo sempre con il nome che gli diede Gesù Cristo. In Gal 1,18, Paolo dice che, tre anni dopo la sua conversione, si recò a Gerusalemme e stette due settimane con Pietro, accompagnato da Barnaba che funse da mediatore visto che il trascorso del santo di Tarso era indigesto per molti cristiani. È invece il capitolo 15 degli Atti degli Apostoli a raccontarci qualcosa di più:
“Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: «Se non vi fate circoncidere secondo l’uso di Mosè, non potete esser salvi». Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.[…] Dopo una lunga discussione, Pietro si alzò e disse: «Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi, perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo e venissero alla fede. E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede. Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro».
Fin qui tutto bene. Sembra che i due santi siano d’accordo nel ritenere la fede come un qualcosa di derivante dalla Grazia divina e non solo dal semplice rispetto della Legge. Eppure in Pietro scatta un timore, quello di rendere scontenti i giudeo-cristiani. E a riferircelo è lo stesso Paolo, visibilmente contrariato (Gal 2, 11-14): “Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Barnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?”
La verità è che Pietro dimostrò davvero di essere il “capo” della Chiesa, il pastore preoccupato della salute di tutte le sue pecore e desideroso di mantenere l’armonia nel suo gregge. Invece Paolo rappresentava il cuore pulsante della Chiesa, l’ardore della missione evangelizzatrice che non vuole lasciare nulla d’intentato nei pagani. La festa dei santi Pietro e Paolo c’insegna che non esiste solo una via per la santità: che tu sia sacerdote, laico, insegnante, marito, moglie, carpentiere, avvocato o studente, l’unica cosa che conta è mettersi al servizio e capire la propria strada. San Josemaria Escrivà diceva che la vera santità non si raggiunge da soli ma solo insieme agli altri. Questi sono Pietro e Paolo, due uomini diventati grandi nel loro servizio! Che tu sia giovane o più maturo, cambia poco: solo l’unione di tutti i carismi può portare ad una vita bella e piena!
Emanuele Giuseppe Di Nardo
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