Cosa disse davvero Gesù? Una parola viva

Spesso, quando mi ritrovo a parlare con gli amici circa la validità storiografica dei Vangeli e la ricostruzione sul Gesù storico, con diverse battute mi viene detto: “Grazie Ema perché, con quello che ci dici, tutte le nostre certezze di fede vengono meno e non sappiamo più esattamente cosa credere”. Ovviamente è una battuta ma che cela un fondo di verità. Cosa sappiamo noi di Gesù e, soprattutto, come possiamo considerare i Vangeli?

Il dibattito sul Gesù storico è lunghissimo e pieno d’interventi accademici che qui è impossibile riassumere. Quel che è certo è che la figura di Cristo non ha mai lasciato indifferenti gli storici del Cristianesimo al punto che ognuno ha fornito una sua interpretazione dei fatti. Però, posto che Gesù sia stato un personaggio storicamente esistito, la vera domanda che oggi vogliamo porci è: “Se Gesù è morto intorno ai primi anni 30 del I secolo e se i primi Vangeli sono da datare intorno agli anni ’50-’60, perché esistono vari racconti che, in certi punti, sembrano quasi entrare in contraddizione?”. I conflitti della memoria dei primi discepoli sono dei “rivelatori sensibili dello stato di crisi in cui viene a trovarsi un gruppo sociale che improvvisamente scopre di essere senza guida” (Pace, 2012). In sostanza tali conflitti hanno a che fare con il principio d’autorità: chi può decidere se ciò che si ricorda è autentico e vero oppure confuso e falso? Da qui nasce l’esigenza per la Chiesa primitiva di mettere ordine alla memoria. Ciò comporta l’esigenza di mettere ordine alla memoria e, come sosterrà il sociologo Weber, dare il primo impulso al principio organizzativo di una religione. 

Praticamente, in principio c’è la parola data da un leader carismatico ovvero quello che effettivamente Gesù disse durante i suoi anni di predicazione pubblica; il potere di comunicazione che tale parola conteneva s’articola, dopo di lui, in una catena di discorsi (sulla parola data) che dà vita al “gioco della verità” (Pace, 2012). Ad esempio il “Chi dite che io sia?” (Mc 8, 27-29), diventa dopo Gesù, “che cosa ha veramente detto e fatto Cristo?”. Il passaggio dal chi al che cosa è, nel processo comunicativo della parola, il movimento dal carisma alla sua regolazione; dall’anarchia iniziale dei significati attribuiti al messaggio di Gesù (il significato personale che ognuno poteva dare alle parole di Cristo) alla progressiva organizzazione. I Vangeli sono un resoconto dell’opera di Gesù redatto da alcuni autori per i membri della propria comunità. Comunità che potevano essere diametralmente opposte per estrazione sociale, culturale e religiosa. Se, ad esempio, il Vangelo di Marco quasi sicuramente era rivolto alla comunità di Roma, già il Vangelo di Matteo ha un chiaro target giudaico, essendo interessato a dimostrare in Gesù il compimento di tutte le profezie dell’Antico Testamento. Ogni comunità cristiana, insomma, aveva bisogno di un testo sul quale fondare la propria fede ed ognuna aveva anche delle peculiarità che emergevano all’interno del testo utilizzato. Questo non vuol dire credere nel falso né tantomeno riadattare la verità ai propri scopi. 

Un filone di storici saggiamente, in merito ai primi secoli della Chiesa, non parla di Cristianesimo bensì di Cristianesimi al plurale perché di questo si trattava: il rapido diffondersi nel messaggio gesuano all’interno dei confini dell’Impero e la capacità di parlare davvero a tutti, per un processo inconscio di rielaborazione e messa in pratica nella vita quotidiana dei singoli, porta allo sviluppo di tante riflessioni filosofiche e teologiche e, purtroppo, anche a tanti errori. Se nel Nuovo Testamento sono stati inseriti 4 Vangeli, basti ricordare che ne circolassero molti di più, alcuni dei quali dichiaratamente dei falsi sorti in ambiente gnostico. Lo studioso Bart Ehrman, solo per farti capire, contava 15 Vangeli, 6 Atti degli Apostoli e 9 Apocalissi. Per tale motivo, la Chiesa intorno alla fine del II secolo, dopo anni di riflessione e dibattito, giunse alla necessaria conclusione di stabilire un canone ovvero una lista di Vangeli da adottare universalmente al fine di custodire la verità ed evitare che molti cadessero nell’errore. Fu Ireneo, vescovo di Lione, attraverso la sua magistrale opera, l’Adversus haereses, a fissare alcuni criteri guida per la scelta di un testo rispetto ad un altro. Tra essi, quello innovativo fu il principio della successione apostolica:

«La tradizione degli apostoli, manifesta in tutto quanto il mondo, si mostra in ogni Chiesa a tutti coloro che vogliono vedere la verità e noi possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli Apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi. Gli Apostoli vollero, infatti, che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tutto coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo». (Adv. Hae. III, 3,1)

Immagina che tu oggi vada ad ascoltare per la prima volta Gesù dal vivo: dirà tante cose ma solo alcune ti colpiranno davvero perché parlano direttamente al tuo cuore e ti trasmettono qualcosa. Torni a casa e inizi a condividere la tua esperienza con altri amici venuti lì con te. Stai certo che il vostro vissuto sarà diverso e, sebbene siate stati insieme, i vostri resoconti avranno delle differenze frutto della rielaborazione personale. Immagina che, con i dovuti distinguo, lo stesso sia accaduto per i redattori dei Vangeli che probabilmente non ebbero la possibilità d’ascoltare Gesù dal vivo ma che si basavano sul resoconto degli altri.

Quindi, quando leggiamo i Vangeli, non pensiamo al bicchiere mezzo vuoto ovvero a quelle incongruenze che fanno dubitare molti. Anzi, pensiamo invece alla bellezza delle differenze perché in esse si cela una parola viva per tutti. La mia esperienza di fede non sarà uguale alla tua eppure, se hai incontrato Cristo, potrai dare una testimonianza vera ed autentica, per nulla ridimensionata da quella di un altro! Oggi allora t’invito a leggere un passo del Vangelo del giorno e a meditarlo attentamente chiedendoti in preghiera: “Cosa dice questa parola di Dio oggi a me nella mia vita?”. Se lo farai con costanza e impegno ogni giorno, ti renderai conto davvero che la Bibbia parla ancora adesso, dopo oltre 2000 anni. E lo fa anche per te, soprattutto per te!

Emanuele Giuseppe Di Nardo

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