Il digiuno quaresimale
«In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame» (Mt 4, 1-2). La Quaresima ha sempre avuto, nella storia della Chiesa, un legame forte con la pratica del digiuno, proprio perché essa richiamava il periodo d’astinenza dal cibo da parte di Gesù come ricordato nel passo evangelico sopra citato. Ma, effettivamente, ancora oggi il digiuno è un tema che divide i fedeli e, in modo particolare, lascia molto spazio all’interpretazione. Cosa significa fare digiuno e come lo viveva la Chiesa delle origini? In questa seconda puntata del ciclo sulla Quaresima cercheremo di dare risposte a queste domande e non solo.
La Quaresima come tempo preparatorio di quaranta giorni con l’obbligo dell’osservanza del digiuno non è conosciuta nel cristianesimo antico prima della fine del III secolo.[1] Infatti, precedentemente la fase preparatoria era molto più breve, limitata alla sola settimana che precedeva la Pasqua poiché i cristiani si basavano sulla raccomandazione di Gesù ai suoi discepoli di digiunare solo nel momento in cui lo sposo sarebbe stato loro tolto (Mt 9, 15-17). Di conseguenza, con differenze tra comunità e comunità, di norma i primi fedeli digiunavano solo nell’immediata vicinanza della celebrazione pasquale. Oggi prenderemo in esame alcuni autori antichi che ci raccontano della prassi alla loro epoca. Ad esempio, Ireneo di Lione (II secolo), scrivendo al vescovo Vittore di Roma, dice che «alcuni pensano di digiunare un solo giorno, altri due, altri ancora più giorni, altri calcolano il loro giorno di digiuno costituito da quaranta ore diurne e notturne».[2] Spostandoci dalla Gallia all’Africa, Tertulliano (fine II-inizio III secolo), nel suo trattato Sul digiuno 2,2, conferma che i cattolici ritenevano che il digiuno riguardasse solo il Venerdì ed il Sabato Santo. In realtà, prima del Concilio di Nicea (325) non esiste alcuna testimonianza di un digiuno di quaranta giorni precedente la Pasqua, mentre pochi anni dopo la pratica appare consolidata nella maggior parte delle Chiese.[3]
La comunità di Roma avrebbe risolto il problema con un digiuno di quaranta giorni immediatamente a ridosso del digiuno pasquale di due giorni: escludendo dal digiuno le domeniche, avrebbero però totalizzato solo 36 giorni di digiuno quaresimale, motivo per il quale aggiunsero 4 giorni alla Quaresima che non partiva con la prima domenica ma con il Mercoledì delle Ceneri.[4] Invece, sempre come esempio, nelle chiese orientali (oggi ortodosse) il digiuno quaresimale dura anche 40 giorni: il Grande digiuno inizia 7 settimane prima di Pasqua, di lunedì (il Lunedì puro) e si conclude con il venerdì della sesta settimana. Il giorno seguente è il Sabato di Lazzaro (anch’esso giorno di digiuno ma meno severo), prima della Domenica delle Palme.[5]
La lista di testi dei Padri della Chiesa sarebbe lunghissima e molto bella. Tuttavia queste poche notizie espresse fin qui ci aiutano a comprendere come, nella Chiesa primitiva, la comunità tenesse in grande considerazione il digiuno, non intenso come semplice privazione di cibo e bevande ma come pratica di preparazione alla Pasqua. Soprattutto per i catecumeni che vivevano la Quaresima come un momento di formazione ed educazione cristiana in vista del proprio battesimo che si sarebbe celebrato proprio nella notte di Pasqua. Circa le finalità di questa pratica prebattesimale, le fonti antiche ci dicono il digiuno serve a combattere le potenze maligne che minano il desiderio profondo di diventare cristiano. Proprio sull’esempio di Gesù che digiuna per non cadere in tentazione nel deserto, così il catecumeno affronta la battaglia nel suo cuore per rinascere a vita nuova come un uomo o una donna rinnovati.
Tornando ai giorni nostri, quanto è difficile avere quella stessa predisposizione al digiuno. Ovviamente, come riportato anche da un documento della CEI,[6] digiunare non vuol dire mettere il proprio corpo a dura prova, dimostrando di essere forte a restare senza toccare cibo. Quello diventerà vanagloria, un sacrificio non gradito a Dio. Il digiuno, se vissuto con fede, è qualcosa di molto più bello e profondo. Non so se ti è mai capitato di fare digiuno: non si tratta solo del cibo perché, ad esempio, conosco amici che hanno deciso di digiunare dai social per la Quaresima oppure dalla musica disordinata. Ognuno sceglie, come fece Gesù, il deserto nel quale vuole andare. Il digiuno è come una forgia: il martello batte sulla lama grezza, è duro ma, alla fine, la spada è pronta per combattere grandi battaglie spirituali. Solo se affrontiamo qualcosa, saremo in grado di vincerla e migliorare. Un po’ come quando, da ragazzi, giocando ai videogames cercavamo di superare il livello per andare avanti. Senza lottare, rimaniamo sempre allo stesso punto.
Il digiuno è una grande opportunità di crescita perché ci permette di togliere qualcosa e vedere da cosa viene riempito quel vuoto: spesso se togliamo i social, ci ritroviamo un tempo quotidiano indefinito (anche 2 o 3 ore) senza sapere come impiegarlo al meglio. In quel caso, arriveranno delle tentazioni di ogni tipo. Ma il digiuno non è semplicemente togliere qualcosa, bensì dare spazio a Dio rinunciando a qualcosa. T’invito, allora, se non l’hai ancora fatto, a scegliere una cosa dalla quale digiunare, che non sia per forza il cibo. Scegli una cosa che sai che ti assorbe molto, toglila per pochi giorni con lo stesso spirito dei catecumeni che digiunavano per prepararsi al Battesimo. Forse tu già sei battezzato ma questa Pasqua potrebbe essere il giorno della tua rinascita. Fatti trovare pronto, fai come Gesù che affronta il deserto senza paura, in digiuno e preghiere. Torniamo a sentirci come i primi cristiani che si definivano “milites Christi” ovvero “soldati di Cristo”. Coraggio, noi di Parusia siamo con te!
Emanuele Di Nardo
[1] Si veda I. De Francesco – C. Noce – M. Artioli, Il digiuno nella Chiesa antica, Milano 2011, p. 74.
[2] Questo passo è contenuto in Eusebio, Storia Ecclesiastica 5,24, 12-13. Eusebio di Cesarea visse oltre un secolo dopo Ireneo, al tempo dell’imperatore Costantino (IV secolo).
[3] Quest’osservazione è stata avanzata da T.J. Talley, Le origini dell’anno liturgico, Brescia 1991, pp. 164-165.
[4] A proposito di questo, abbiamo già discusso la scorsa settimana nel primo articolo. Si veda anche C. Noce, Il digiuno, p. 78.
[5] Cfr. Angelo Di Berardino, Origini e significati delle feste cristiane, Trapani 2022, p. 161.
[6] Conferenza Episcopale Italiana, Il senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, Milano 1994.
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