Pier Damiani: la coerenza della tensione
Hai mai provato ad accendere il fuoco di un caminetto? Occorre innanzitutto trovare quei piccoli pezzi di legna secca che prendono fuoco più velocemente. Una volta che la combustione s’è innescata, allora pazientemente si aspetta la formazione del braciere sul quale disporre tronchi di medie dimensioni prima di usare veri e propri tronconi che bruciano più lentamente ma che garantiscono una fiamma viva e prolungata. La mia non vuole essere una lezione di sopravvivenza nei boschi. Però, nella natura, possiamo scorgere tracce di Dio, anche nei posti più impensabili.
Non so a te ma a me a volte capita di voler dare un senso alla mia vita, di “infiammare ogni cosa”, di bruciare per portare il fuoco dello Spirito Santo in tutti i posti nei quali vivo. Ma non sempre questa fiamma s’accende, spesso anzi è soffocata da mille preoccupazioni che opprimono il cuore e la mente. Come se, sul quel piccolo braciere di cui ti parlavo prima, buttassi tronchi bagnati e ancora verdi. L’intenzione c’è ma è sbagliata la scelta di cosa bruciare. Oggi ti voglio raccontare la storia di un santo non proprio “pop” nel senso concreto del termine, poco conosciuto dalla cultura popolare cristiana ma davvero interessante: san Pier Damiani, celebrato proprio in questo giorno dalla Chiesa.
Pier Damiani è un giovane ragazzo nato a Ravenna nel 1006, da una famiglia facoltosa e che ha la possibilità di studiare prima a Faenza e poi a Parma fino a diventare maestro delle arti liberali, talmente bravo in questo da avere molti studenti al suo seguito. Tuttavia qualcosa anima il suo cuore, un desiderio più profondo: voler darsi completamente a Dio. Così abbraccia la vita monastica ed entra nell’eremo di Fonte Avellana, un monastero al confine tra l’Umbria e le Marche. Nel 1040 viene ordinato sacerdote ma, nonostante gli obblighi del chiostro e la ricerca della pace, Pier Damiani sente forte il desiderio di portare “il chiostro nel mondo”, di non accontentarsi di contemplare Dio nella quiete degli Appennini ma portare Cristo nella società italiana dell’XI secolo. Inizia quindi a scrivere lettere ad alcuni vescovi del territorio e a diversi aristocratici romagnoli, fornendo ai laici modelli di comportamento ispirati dagli ideali monastici. Una “riforma locale” come l’avrebbero definita alcuni suoi contemporanei, con questa tensione costante verso il prossimo.
La svolta avviene nel dicembre 1046, quando a Roma è eletto imperatore Enrico III con il quale Pier Damiani aveva ottimi rapporti e sul quale confidava come pilastro per la costruzione di un nuovo mondo, basato sul rispetto dei valori universali dell’uomo e sulla pace tra l’Impero e il Papato. Cioè, concretamente, Damiani, insieme ad un nutrito gruppo di riformatori romani, auspicava sull’accordo tra queste due figure universali, che a lungo erano in collisione danneggiando di conseguenza la vita di molti. Solo con l’alleanza vera e profonda, non politica, del regnum e del sacerdotium si poteva vivere in pace. Inutile dire che un proposito tanto ardito quanto nobile avrebbe avuto le gambe corte perché, dopo la morte di Enrico III e di papa Vittore II nel giro di pochi mesi, s’innescarono altre dinamiche politiche che non fecero desistere Damiani dal suo progetto ma che lo spinsero a cambiare rotta. Pier Damiani aveva dato il via ad un sogno che avrebbe attraversato i secoli successivi, passando da san Francesco d’Assisi fino ad arrivare a Dante che nel De Monarchia teorizzava l’indipendenza ma allo stesso tempo il rapporto che doveva esserci tra il papa e l’imperatore.
Damiani, negli ultimi anni della sua vita, perde le speranze di una riforma universale, dopo aver constatato il disinteresse degli imperatori nel provarci e la distanza di vedute del Papato. Continuerà però nella sua tensione verso la riforma “locale”, spendendosi fino all’ultimo secondo per chi vagava nel buio. Il nostro santo dunque rappresenta quella “coerenza della tensione”, quella sana inquietudine che spinge i passi degli uomini affamati e assetati di giustizia verso strade nuove. Strade che non sempre sono lineari, anzi spesso sono ricche di curve e biforcazioni. Eppure ti portano sempre avanti, verso la meta finale.
Una sorella nella fede qualche giorno fa mi ha detto che non dobbiamo mai smettere di cercare quel qualcosa di profondo che anima il nostro cuore perché è lì, nelle alture, che dimora Dio. Quella “nostalgia del cielo” è il fuoco che brucia in noi e che ci esorta a camminare, anche in direzioni impensabili fino a qualche tempo fa. Quanta verità nelle sue parole! Pier Damiani parte dall’essere insegnante, poi passa al chiostro ma mantiene accesa la sua tensione riformatrice spendendosi fino alla fine, senza risparmio. Perché è così che avviene la combustione: un tronco, a contatto con il calore, s’infiamma esternamente ma, nel frattempo, il suo cuore arde e sprigiona un’energia incontrollabile e irrefrenabile.
Allora oggi vorrei lasciarti una luce: lo Spirito Santo infiamma i nostri cuori, semina in noi desideri profondi, propositi santi, obiettivi alti. Lui porta la fiammella ma ha bisogno che noi prepariamo della buona legna che possa ardere subito. Ricordi? Un fuoco s’accende partendo da piccoli pezzi di legna secca ovvero da piccoli gesti come possono essere il segno di croce appena alzato o la benedizione dei pasti o il ringraziamento per la giornata trascorsa prima di andare a dormire. Ma poi occorrono pezzi sempre più grandi, con una crescita regolare però. Se provassi a mettere troppa legna, il fuoco si spegnerebbe perché il braciere sottostante non reggerebbe tutta quella pressione. Accendi il tuo fuoco e poi alimentalo con pazienza: leggi un buon libro spirituale, vedi qualche film edificante, recita il Rosario tutti i giorni se puoi, partecipa a Messa. Vedrai che quel fuoco ti brucerà dentro e ti darà la possibilità di metterti in cammino verso nuove mete, anche incredibili e impreviste.
Emanuele Di Nardo
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