Anche nei lager… “Solo l’amore crea”
Domani, 27 gennaio, come ogni anno, celebriamo “La giornata della memoria”, per ricordare, specialmente alle nuove generazioni, fin dove si possa spingere l’animo umano quando viene ottenebrato dall’odio, dall’ideologia e dal male. La data scelta è simbolica: il 27 gennaio del 1945, infatti, i soldati sovietici[1] arrivarono a liberare il campo di Auschwitz, in Polonia. Da allora il termine Auschwitz è stato usato sempre, anche nel linguaggio comune, come metro di paragone per le barbarie più efferate, per il totale diniego della dignità umana. L’Europa ed il mondo, così, scoprivano gli orrori della “soluzione finale”, operazione attuata dal regime nazista nel 1942 per sterminare circa 10 milioni di Ebrei, avendo in previsione di vincere la guerra ed avere il potere di rastrellare anche quelle zone che nel 1942 erano fuori dal raggio d’azione di Hitler e dei suoi. La guerra andò diversamente, e lo sterminio degli Ebrei “si fermò” alla tragica cifra di 4 milioni circa, a cui si sommano minoranze di altro genere e prigionieri vari, fino ad arrivare ad oltre 6 milioni di morti nei vari campi di sterminio, disseminati in tutta Europa.
Tra “gli altri”, c’erano anche religiosi e religiose, cattolici e non solo. La fede cristiana era invisa al potere nazista: nonostante si faccia talvolta riferimento ad una certa simpatia del Vaticano per i regimi di estrema destra del ‘900, non ci si può dimenticare del tentativo hitleriano di creare una sorta di religione parallela, fondata sul culto della sua persona e del suo regime, con tanto di liturgie e adunanze, oltre alle condizioni estremamente difficili in cui si poteva muovere la Chiesa in quelle zone. La preoccupazione di Papa Pio XII per la situazione in Germania, con annessa preghiera di esorcismo tentata da Roma su Hitler, fa ben capire quanto l’ex nunzio della Santa Sede in Germania conoscesse la furia nazista e la sua ideologia perversa, e quanto, quindi, non ci fosse alcuna simpatia.
Si diceva di religiosi e di religiose; parlando di loro non si può non far riferimento, tra gli altri, al “Cavaliere dell’Immacolata”, frate, sacerdote e santo, che fu vittima del regime nazista e del suo odio cieco: stiamo parlando di Massimiliano Maria Kolbe. Agli occhi dei nazisti aveva una doppia colpa: essere sacerdote cattolico ed essere polacco. Entrambe queste condizioni lo facevano apparire ai tedeschi un “sottouomo”, proprio come gli ebrei, e dunque meritevole del campo di sterminio. Fu deportato ad Auschwitz nel 1941, e assegnato a mansioni molto pesanti, non solo fisicamente ma anche spiritualmente. Gli fu impedito di celebrare la Messa, ma non per questo il suo animo di pastore cambiò: sempre pronto a confortare, sempre pronto per un sorriso, lontano dal desiderio di vendetta e dio odio dei suoi persecutori. Come un “alter Christus”, che perdona chi lo sta crocifiggendo. Si era impegnato tutta la vita a diffondere il Vangelo e l’amore a Maria, in Europa ed anche in Giappone, come missionario: sua fu l’idea di stampare una rivista, “Il cavaliere dell’Immacolata”, sua l’idea di fondare una cittadella in Polonia ed una in Giappone, a cui diede il nome di “Citta dell’Immacolata”. Aveva il desiderio di opporre al materialismo dilagante, che aveva almeno tre aspetti , molto diversi tra di loro ma accomunati dalla negazione della vita spirituali e della stessa esistenza di Dio(il capitalismo, il comunismo ed anche il nazismo) il dolce e forte messaggio del Vangelo e l’amore per gli uomini della Vergine Maria, madre di tutti che tutti vuole portare in Cielo. Fino all’ultimo diede prova di un’identificazione totale con il suo Signore: si offrì volontariamente per morire al posto di un soldato polacco, che era stato estratto a sorte dai nazisti per finire nel “bunker della fame”, luogo nel quale lui e altri 9 avrebbero dovuto pagare con la vita l’evasione dal campo di un loro compagno di reparto. Alle lacrime e alle parole del soldato, distrutto per non poter più vedere la sua famiglia, il prigioniero numero 16670 uscì dai ranghi, e si propose al posto di quel soldato. Inaspettatamente, la sua richiesta fu accolta. Insieme agli altri, dunque, fu destinato a morire di stenti. Dopo due settimane, però, il sacerdote era ancora vivo: aveva dato conforto ai suoi compagni di sventura, e non aveva mai smesso di pregare e di lodare il Signore: anche lì, anche in quel momento. Quando i nazisti si accorsero che il sacerdote era ancora in grado di intonare canti alla Vergine, scelsero di sottoporlo ad un’iniezione letale di acido fenico, per eliminarlo definitivamente. Porgendo il braccio al soldato che doveva ucciderlo, disse: “Lei non ha capito nulla della vita. L’odio non serve a niente, solo l’amore crea…”. Questa frase ebbe una eco enorme, e fu usata anche più volte nel processo di beatificazione prima e della canonizzazione poi, come emblema di un amore eroico che va oltre l’umana comprensione, e che può avere origine solo da Dio. Con il nome di Maria sulla bocca, si spense da martire a 47 anni. Portò un raggio di luce in quel campo infernale. Portò vita laddove c’era solo la morte. Colpì, con il suo atteggiamento, i suoi carnefici, i suoi compagni di prigionia… “Ridiede” vita al soldato polacco, che riuscì a sopravvivere e tornò dalla sua famiglia, divenendo il più grande testimone del santo che si era sacrificato per lui.
L’esempio di San Massimiliano Kolbe ci dimostra che anche nella tenebra più fitta, anche nella situazione più terribile, anche nella morte, il male non ha l’ultima parola, ma la luce di Dio può arrivare a illuminare. Non è facile, certo, ma è una promessa di Gesù: dove c’è un suo figlio o una sua figlia “in croce”, Lui è lì, perché lui conosce bene la via del Calvario. E se c’è Gesù, c’è anche Maria.
Possiamo dunque chiederci oggi: qual è il mio “bunker”? Qual è il luogo del cuore nel quale Dio deve entrare per illuminare? Qual è quella situazione che sembra schiacciarmi e dalla quale voglio essere sollevato? Ricorriamo con fiducia anche all’intercessione di San Massimiliano Kolbe. Lui diceva: “Rimettiti in tutto alla Divina Provvidenza attraverso l’Immacolata e non preoccuparti di nulla”.
Il giorno della memoria, allora, sia anche una giornata di speranza: nell’orrore più totale, più assoluto, Dio è stato presente[2], ed è presente anche nella nostra vita, anche quando sembra non esserci via di scampo. È un Padre che ama i suoi figli: non farà tardare il suo aiuto. Manteniamo il nostro cuore aperto a Lui ed egli agirà, e trasformerà le nostre sofferenze in luce per noi e per gli altri.
Francesco Simone
[1] Purtroppo rimasero a lungo nascosti i campi di concentramento e di sterminio del regime comunista russo, descritti dall’autore russo Aleksandr Solženicyn nel suo “Arcipelago Gulag”.
[2] Sono davvero molti i casi di martiri cristiani nei campi di sterminio di ogni colore politico: un’altra celebre Santa morta per via del nazismo fu Edith Stein, Santa Elisabetta Benedetta della Croce. Del cardinale Van Thuan, tenuto in carcere dal regime comunista vietnamita e del quale è in corso il processo di canonizzazione, parleremo in un altro articolo.
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