La mia forza nella debolezza
Studiando qualche mese fa per un esame universitario, mi sono imbattuto in un personaggio cardine della storia del cristianesimo, un teologo e letterato che ha permesso l’evoluzione del pensiero cristiano e la sua maggior diffusione negli ambienti colti di Alessandria d’Egitto: Origene. Stiamo parlando di una delle menti più brillanti del III secolo, professore di spicco del “Didaskaleion”, il principale centro di formazione di tutta l’Africa settentrionale e forse anche del Medio Oriente, una scuola nella quale approdavano le migliori menti del momento. Ma soprattutto Origene, influenzato molto dal platonismo, ha raffinato anche l’impianto teologico delle prime comunità cristiane. In poche parole un luminare.
Eppure Origene, per quanto desiderasse diventare sacerdote, non riusciva mai ad ottenere il permesso dal suo vescovo, Demetrio d’Alessandria. Ne scaturisce una lotta fino al punto che Origene, invitato a tenere le sue omelie in varie parti dell’impero romano, giunto in Palestina, è ordinato presbitero nel 230 dai vescovi locali Teocsito di Cesarea e Alessandro di Gerusalemme, senza il benestare di Demetrio. La reazione di quest’ultimo è durissima: Origene è privato dell’insegnamento e cacciato dalla comunità alessandrina. Ma qual è il motivo di questo astio profondo di Demetrio? Alcuni storici lo ricollegano ad un aspetto molto interessante, sul quale voglio soffermarmi oggi: per il suo estremo rigore ascetico Origene giunge ad prendere alla lettera il passo del Vangelo di Matteo (Mt 19,12: “Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca»”) applicando l’auto-evirazione. Questo era un problema non di poco conto tanto che, in diversi concili e sinodi che si terranno successivamente, più volte si ribadisce il divieto per i sacerdoti e per i monaci del deserto di castrarsi o evirarsi. Il motivo è molto semplice: Dio vuole uomini veri che sappiano amare completamente, con tutta la propria indole mascolina e evirarsi, come dice il termine stesso, vuol dire “privarsi della virilità”, perdere il tratto caratteristico dell’essere uomo e diventare chi non siamo. Abbiamo tanti esempi di uomini santi che, nonostante avessero molte difficoltà nella propria sfera sentimentale-sessuale, non hanno rinnegato il proprio essere ma hanno sublimato i propri desideri rivolgendo la propria attenzione solo a Dio. Penso, ad esempio, a san Paolo e alla sua famigerata “spina” o a sant’Agostino che, prima di essere tale, stando a quanto ci racconta nelle sue “Confessioni”, abbia vissuto una gioventù alquanto turbolenta. Oppure pensiamo a san Francesco d’Assisi, prode soldato che desiderava la classica storia cavalleresca medievale con una dama da corteggiare e che si è ritrovato a sposare “madonna povertà”.
T’invito a guardare gli esempi che ti ho proposto: da una parte Origene, grande letterato, genio indiscusso, esegeta di rara profondità ma che è rimasto un semplice “uomo” agli occhi di noi moderni, a distanza di tanti secoli. Dall’altra san Paolo che non ha rinnegato se stesso, non ha soffocato la sua indole virile, il suo desiderio passionale ma l’ha sublimato, l’ha sfruttato per essere un testimone autentico del Vangelo fino a diventare santo. C’è una frase che dice: “La potenza non è nulla se non hai il controllo”. È proprio così. Tutti noi abbiamo un grande fuoco che divampa nel nostro cuore ma, se sappiamo incanalarlo nei binari giusti, ci permetterà di portare frutto e di passarlo a chi incontreremo, amando gli altri in modo ordinato e profondo. Ma se il fuoco esce dai binari e ne perdiamo il controllo, ecco che la nostra vita sarà in balia solo delle passioni momentanee, facendoci terra bruciata attorno e facendo del male a noi stessi e agli altri. Ma non possiamo nemmeno correre il rischio di mettere a tacere quel desiderio perché, se spegniamo il fuoco, la nostra vita perde di senso. Un uomo sposato non deve pensare che basta chiudere gli occhi e non vedere nessun’altra donna per essere fedele a sua moglie: per essere fedele, non deve abbassare lo sguardo ma rivolgerlo alla sua metà, a quella donna di cui si prenderà cura per il resto dei suoi giorni. Un sacerdote non deve far finta che le donne non ci siano, come se debba fuggire dal peccato in persona: è sbagliato perché reprimerebbe la sua virilità e non riuscirebbe ad amare il popolo affidatogli da Dio in pienezza. Lo stesso vale per le donne, chiamate a rispondere alla propria natura e ad amare completamente chi gli sta accanto.
In questo momento di grande caos, nel quale la sessualità disordinata è presente ovunque ti giri e sembra di sentirti quasi inadeguato per questo mondo, non avere paura di rispondere al tuo essere uomo, non reprimere la tua virilità come Origene, che da quel momento s’è spento, ma rivolgi il tuo sguardo a Dio e ama in modo ordinato e ardente, sublimando quei desideri naturali per qualcosa di sovrannaturale, amando la tua ragazza o tua moglie in un modo nuovo. San Paolo ci conferma che Dio ci darà la grazia necessaria per non cadere.
Emanuele Di Nardo
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