“Andate in tutto il mondo…” Storie di missioni – parte 3

“O Africa o morte!” Questo il grido, l’anelito e la ferrea volontà di quello che è riconosciuto come il più grande missionario dell’Africa subsahariana. La storia di San Daniele Comboni è la storia di chi, animato da un ardente desiderio, ha sfidato tutto e tutti pur di portare Cristo in un continente, l’Africa, in cui gli Europei erano giunti ma in cui non avevano portato Gesù, ma in molti casi sofferenza ed ulteriori forme di schiavismo. Lui, nato a Limone sul Garda in Veneto, ha sentito fin da giovanissimo il desiderio di evangelizzare l’Africa, e le dure battaglie sostenute, i momenti di difficoltà e di quasi chiusura del suo progetto, non lo hanno per nulla scoraggiato, ma ne hanno temprato e forgiato sempre di più quel santo desiderio. I padri Comboniani, suoi figli, continuano la sua opera di evangelizzazione e lo fanno non più solo in Africa, ma in tutti i continenti, e non di rado sono di ritorno qui nella nostra Europa, curiosamente, la terra da cui tutto cominciò. 

Qualche settimana fa si è tenuta una giornata di preghiera non lontana dal luogo dove vivo, la distanza in macchina era di non più di venti minuti. Nel luogo scelto, un’abbazia del XII secolo, mi aspettavo di trovare un normale sacerdote, un custode che fosse di quel posto. Con mia sorpresa, invece, io e i miei amici trovammo un missionario, qualcuno che l’Italia l’aveva vista nei primi anni della sua vita e che negli ultimi 40 anni si era diviso tra il Sudan e l’Egitto, paese in cui ha assistito gli ultimi più ultimi, i poveri di un quartiere della capitale, Il Cairo, dove ci si guadagna di vivere, o si prova a farlo, raccogliendo l’immondizia dei quartieri ricchi della città. La sua storia, il suo racconto, mi hanno portato a conoscere meglio la figura del fondatore del suo ordine, San Daniele Comboni per l’appunto, che si è sempre battuto per l’Africa e per due finalità: portare la fede e promuovere lo sviluppo integrale della persona umana.  

L a storia del missionario si svolge nell’800, secolo in cui lo slancio missionario verso l’Africa vede già diversi fermenti. L’opera di Daniele si svolge quindi in armonia con il sentimento comune della Chiesa e del papa, Gregorio XVI, a dimostrazione che lo Spirito Santo muove e guida la storia. Dopo la formazione, a soli 18 anni, consacra la sua vita all’apostolato in Africa, ma i primi tentativi di partire e di operare, per vari motivi, rimangono incompiuti, anche per gravi episodi di febbre che colpiscono il giovane missionario. Gli anni a seguire sono anni di lotta, di difficoltà: la missione non riprende. Ma nel 1864, pregando sulla tomba di San Pietro a Roma, ha un’ispirazione: dopo aver chiesto luce allo Spirito Santo, in pochissimo tempo, e di getto, redige dettagliatamente il suo progetto missionario, che vedrà al centro l’azione del Sacro Cuore di Gesù e di Maria. Tra gli obiettivi, oltre a quelli più marcatamente spirituali, c’è quello di salvare l’Africa per mezzo degli africani, i quali sono invitati a entrare da protagonisti nel campo della scuola, del lavoro, del commercio, per liberarsi dalla sudditanza economica. Il papa, il beato Pio IX, lo appoggia, ma le resistenze non mancano: dopo aver a lungo cercato appoggi e aiuti, Daniele si convince che debba essere lui il fondatore di questa nuova compagnia, di questo nuovo ordine, che viene alla luce con sei membri, nel 1867. Lotte e diffamazioni anche in seno alla Chiesa non mancheranno, ma l’opera va avanti, vedendo nel 1872 anche la nascita del ramo femminile. Va a pieno regime l’attività di penetrazione nel cuore dell’Africa, tra i monti nubani e verso la zona equatoriale dei Grandi Laghi, e di animazione missionaria in Europa. L’impatto col dramma del commercio degli schiavi, ufficialmente abolito ma comunque fiorente, è davvero duro; nel frattempo prosegue l’opera di “rigenerazione” da parte degli africani: accanto alle maestre nere si vanno formando famiglie di cristiani autoctoni in grado di trasmettere la fede, si consolidano comunità cristiane abilitate nei vari mestieri e nell’agricoltura, che si dimostrano autosufficienti: il Piano di Daniele, quello ideato anni prima su suggerimento dello Spirito Santo, funziona. Lui, devotissimo di San Giuseppe, a cui aveva affidato tutta la sua missione, giorno per giorno, si prodiga instancabilmente per quella che è diventata la sua gente, quella che è stata sempre la sua ragione di vita. A porre fine al suo grande lavoro di evangelizzazione, solo la morte, avvenuta nel 1881, all’età di soli cinquant’anni. Il suo lascito, la sua eredità, una missione in continua evoluzione, ed in continuo movimento. “Precursore, evangelizzatore, profeta, pioniere, gigante missionario, promotore, liberatore, sacerdote e vescovo dal cuore magnanimo che sa perdonare, e specialmente amico dell’Africa, per la quale non esita a sacrificare tutto”: in queste parole, del Prefetto della Congregazione del Culto divino, è condensata tutta l’opera di San Daniele, canonizzato nel 2003 da un altro grande missionario, il Santo Padre Giovanni Paolo II. La passione per l’uomo, in tutte le sue necessità, morali, spirituali e materiali: questo il terreno di “missione nella missione”, perché l’Africa significa persone concrete, realtà concrete. Come sempre, quando si parla di missioni, si parla di storie concrete, di volti, di tradizioni, di vita. A questo il santo ha dedicato la sua esistenza, e spinto altri a fare lo stesso.

Vivere la vita come missione, allora, non è “qualcosa da fare”, ma qualcosa da vivere. Chi ha sperimentato nella propria vita la luce di Cristo, il Suo amore e la Sua salvezza, desidera che anche gli altri ne facciano esperienza; la missione non è qualcosa di slegato dal messaggio della Risurrezione, ma è il compimento di essa. La missione è sovrabbondanza d’amore, amore che viene da Gesù e vuole raggiungere ogni uomo. Il modo può essere diverso, a seconda dei carismi e dei talenti di ciascuno, ma il fulcro è sempre lo stesso: irradiare Cristo. 

Lo sto facendo nella mia vita? Ho il desiderio di farlo? A queste domande è bene rispondere, e può essere utile confrontarsi con i vangeli della Resurrezione: non siamo di fronte alla cronaca di un evento sportivo, eppure tutti corrono. Corre la Maddalena, corre Giovanni, corre Pietro, corrono i discepoli di Emmaus dopo aver riconosciuto Gesù nello spezzare il pane: chiunque conosce che Lui è vivo, non può fare altro che “correre” per annunciarlo ad altri, non può che irradiarlo. San Daniele Comboni ne è un esempio. E se l’Africa ha un po’ più il volto di Cristo, lo si deve anche a lui e ai suoi successori.

Francesco Simone

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