La condivisione con il vicino: una rubrica interreligiosa

Scorrono davanti ai nostri occhi ogni giorno le strazianti immagini di quanto sta accadendo in Afghanistan ma purtroppo quella afghana non è l’unica crisi umanitaria che sta colpendo il nostro mondo: ovunque ci giriamo, possiamo vedere guerra, lotta, sopraffazione e disordine. Con il filtro della televisione piuttosto che dei social, quello che vediamo ci sembra “lontano”, come se non ci toccasse più di tanto. Certamente l’immagine del bambino gettato oltre la cortina è d’impatto ma poi cosa succede? Come facciamo a capire realmente cosa stiano provando uomini e donne senza più un presente? La cosa più semplice e banale da dire è “il problema è la loro religione, noi siamo cristiani e, seppur con molti difetti, non arriveremmo mai a quella barbarie”. Se invece scoprissimo che, di fronte ad una crisi collettiva, ci si può rialzare insieme?

Con questa domanda diamo il via ad una rubrica che ci accompagnerà nelle prossime settimane. Il titolo è “La condivisione con il vicino”, un ciclo d’articoli nei quali racconteremo qualcosa di poco conosciuto ovvero quei luoghi sparsi nel Mediterraneo nei quali cristiani e musulmani, talvolta anche gli ebrei, si ritrovano insieme a pregare, a condividere la propria fede e a vivere un rapporto tollerante e pacifico con l’altro. Si perché l’altro può farci paura non conoscendolo ma tutto acquista sapore diverso quando scopriamo che l’altro è il vicino di casa o il collega di lavoro con il quale vado d’accordo. Oggi ti voglio parlare di una storia che mi ha fatto riflettere molto, oggetto di studio di un sociologo sloveno e docente all’Università di Lubiana Bojan Baskar. Ci troviamo in Bosnia-Erzegovina, un Paese letteralmente squarciato dalle orrende guerre jugoslave che, alla fine del XX secolo, hanno smembrato la Jugoslavia e portato alla rovina un’intera popolazione. La Bosnia, a lungo usata dal Maresciallo Tito[1] per la propaganda del suo slogan “Fratellanza e Unità”, ad un certo punto è diventata terra ambita dagli Stati nazionali vicini. È ancora sanguinante la ferita di Srebrenica, una piccola cittadina a maggioranza musulmana completamente annientata dai serbi con gli uomini fucilati e le donne violentate. Bene, in questa landa di odio e guerra, c’è la storia di un piccolo villaggio, Baljvine, in cui accade qualcosa d’inaspettato come quando spunta un fiore su un terreno arso dal fuoco.

Sahin Delic, un abitante di questo villaggio, racconta a Baskar come sia sopravvissuto al genocidio grazie alla benevolenza delle persone appartenenti all’altro schieramento. Nel saggio “Potete contare sui vostri nemici?”, Delic descrive la solidarietà di cui fu testimone tra i musulmani e i serbi di Baljvine in virtù di un concetto radicato nella cultura bosniaca e rappresentata dalla parola “komsiluk”, che potremmo tradurre come “vicinato”. In tempo di guerra, amici provenienti da altre comunità inevitabilmente si trasformano in nemici, imbracciando le armi e ponendo fine a grandi amicizie. Tuttavia alcuni rapporti interpersonali stabiliti al di là delle frontiere comunitarie potevano proteggere alcuni individui. Io sono cristiano, il mio vicino è musulmano e, sebbene siamo in guerra, lo conosco, ho cenato spesso a casa sua, voglio bene ai suoi figli come ai miei e per questo non m’interessa da dove provenga: io lo salvo e basta! Questo ci verrebbe da pensare.

Tornando ai giorni nostri, a lungo si sta parlando di pace e armonia tra le parti, gli accorati appelli di papa Francesco sembrano perdersi quasi nel vuoto di una vallata nella quale a risuonare è solo l’eco della politica e degli affari economici. Non occorre andare fino al Medio Oriente per capire che il “komsiluk”, il vicino sia qui, accanto a noi. E non per forza deve essere di un’altra religione o di un’altra nazione. Oggi inizia settembre e, dopo un periodo di vacanze, molti di noi stanno tornando a lavoro, in ufficio o a riprendere le lezioni. Abbiamo una grande opportunità, quella di essere solidali e di condividere con qualcuno: da un caffè ad una chiacchierata post-esame, da una telefonata agli appunti di un corso. Oggi t’invito, in qualunque contesto e posto ti trovi, a pensare al tuo vicino: qualcuno ha bisogno di essere salvato, tu non lo sai ma basta un gesto di vicinanza per svoltare la situazione. Individua una persona che secondo te ha bisogno, parlaci, interessati a quello che sta facendo, prega per lei o per lui. Questo è lo spirito cristiano: accogliere il prossimo e farlo sentire speciale!

Emanuele Di Nardo


[1] Capo della Jugoslavia comunista e promotore dell’unità tra le Repubbliche slave dopo la seconda Guerra Mondiale (1945-1980)

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