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Il metodo di San Giovanni Bosco (pt. 2)

Riprendiamo il nostro focus sul metodo educativo proposto da don Bosco, di cui abbiamo già visto i primi tre punti: vedere nel ragazzo che ci viene affidato un dono di Dio, una persona da custodire; creare un ambiente accogliente, che faccia sentire il ragazzo a proprio agio e che gli dia fiducia; condividere con il ragazzo i suoi interessi ed i suoi hobby, entrare nel suo mondo, condividendone anche l’aspetto emotivo. Molto utile è, per creare un rapporto empatico con il ragazzo, interessarsi a lui, chiedere qualcosa relativo ai suoi hobby o ai suoi interessi: se io, bambino o ragazzo, so che chi è di fronte a me (l’adulto o il docente) mi vede come una persona, so che di lui mi posso fidare, perché a lui interesso, non solo in quanto studente ma in quanto persona, e prenderò quindi meglio consigli e rimproveri. Si creerà quell’empatia che migliorerà significativamente il processo educativo.

L’attenzione reale ai bisogni del giovane è essenziale perché si possa costruire un rapporto educativo valido, sano e genuino. Vedere i giovani solamente come persone a cui dare limiti e imporre divieti, senza spiegare, o come “zucche vuote” da riempire è un grosso limite che qualsiasi educatore dovrebbe superare.

Altro aspetto da non sottovalutare è far comprendere al ragazzo di avere fiducia in lui, e che il processo educativo non lo vede solamente come soggetto passivo, ma come soggetto attivo: io, adulto, ti affido dei compiti di responsabilità, misurati in base a quelle che sono le tue capacità, perché mi fido di te, e non voglio sostituirmi a te: tu non sei uno che deve eseguire solamente ordini, ma sei colui che con creatività può svolgere un lavoro, dandoti modo di constatare che tu puoi superare i tuoi limiti, apprendere cose nuove ed essere in grado di avanzare nella crescita.

Non ultimo, qualcosa che vale nella comunicazione tra educatore e giovani ma anche tra adulti: parlare “la stessa lingua” e, se necessario, portarmi al livello di chi ho di fronte, perché possa capire. È inutile che io, solo perché docente o adulto, usi un linguaggio astruso per i miei ragazzi, solo per far sfoggio delle mie capacità oratorie: il fine è la mia gloria personale o il farsi comprendere da chi ho di fronte? Lo stesso vale per la comunicazione tra adulti: l’importante è che chi è di fronte a me comprenda, perché molte incomprensioni, liti e difficoltà avvengono proprio per una mancanza di chiarezza nell’interazione. Del resto, Gesù non ha fatto lo stesso? Con le folle parlava per immagini, con parabole, scene tratte dalla vita quotidiana, con un linguaggio facilmente comprensibile, mentre con Nicodemo, un dottore della Legge, parlava in termini più teologici, che il suo interlocutore poteva comprendere.

Dunque, è questa, in sintesi, l’idea di don Bosco: farsi amare e non temere. In totale opposizione con quanto affermato da Machiavelli nel “Principe” (in cui consigliava al capo di uno Stato di scegliere, tra l’amore dei suoi sudditi ed il timore da essi provato, il secondo) Don Bosco mostra come il metodo educativo efficace sia quello che emerge dal Vangelo: Gesù, Dio, non si accosta al peccatore, al traviato, alla persona da formare con parole dure, escludenti e taglienti: la Samaritana, Matteo, Zaccheo e l’adultera sono persone a cui il figlio di Dio si è accostato con amore, e non con giudizio, pur conoscendo peccati e malvagità che abitavano il loro cuore. Si è accostato a loro per elevare, e non per distruggere, perché anche in loro c’era un “punto accessibile al bene”, e su cui si poteva far leva proprio per elevare quella persona verso il bene: San Giovanni ci ricorda che: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo suo”1 .

Lo stesso deve fare, secondo il sistema proposto da Don Bosco, l’educatore: non essere colui che condanna, ma colui che serve, colui che cerca di guadagnare l’altro, che cerca di farlo fiorire, senza opprimerlo.

Del resto, come spesso accade, è sufficiente usare il buon senso: basterebbe essere il docente, il genitore o l’educatore che avremmo voluto avere.

Avremmo voluto un compagnone, qualcuno che non si preoccupasse per niente del nostro futuro e della nostra formazione, disposto a dire sempre e solo dei sì? Ne dubito.

Oppure avremmo voluto avere un adulto arido, interessato solo a terminare la lezione o il tempo con noi il prima possibile, senza alcuna empatia nei nostri confronti? Anche questa opzione mi sembra da scartare.

Ecco che quindi un educatore responsabile, dolce e fermo allo stesso tempo, che ponga il bene di coloro che gli sono affidati sopra a tutto il resto, è sicuramente la figura che avremmo voluto avere, e che possiamo essere per coloro che ci vengono affidati.

Nel mio piccolo, ho avuto modo di sperimentare tutto questo in vari momenti ed in situazioni molto diverse: come insegnante di sostegno, come docente della classe, come “mediatore” in situazioni di svantaggio culturale (con ragazzi stranieri che non conoscono la lingua italiana e sono quindi come in un limbo): farsi prossimo, porre al centro la persona senza imporre ma cercando di servire, dà i suoi frutti, a lungo termine: come qualsiasi semina, può occorrere tempo per vedere i risultati, a volte sembra che si perdano solo tempo ed energie, ma alla lunga il lavoro fatto si vede, ed è un lavoro molto importante: ho aiutato, per quanto possibile, un ragazzo a diventare adulto, a diventare una persona a tutto tondo, gli ho dato gli strumenti per essere qualcuno che possa compiere il bene nel mondo, quel bene di cui il mondo e la società hanno tanto bisogno. 

Ovviamente non sono arrivato, devo ancora crescere e migliorare sotto molti aspetti, ma credo che per l’educatore quella tracciata da Don Bosco sia la strada giusta.

Il consiglio che mi sento di dare a te, genitore, docente o educatore è questo: supera la tentazione del potere, della sopraffazione, del “farsi rispettare”; guarda chi ti viene affidato con amore, quell’amore che porta a servire l’altro per il suo bene; dona a chi hai di fronte un sorriso, una parola buona e l’aiuto, quando serve; interessati di chi hai di fronte, non avere un atteggiamento distratto o saccente; sii pronto a correggere, ma mai con asprezza e desiderio di vendetta, ma con carità; indica sempre il bene, e vivilo tu in prima persona. L’esempio è la più grande forma di insegnamento. L’amore è la più grande fonte di benessere per chi hai davanti, soprattutto per i giovani che stanno crescendo. 

Francesco Simone

1 Gv 3, 17.

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