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San Giuseppe Moscati

Quando scelsi la carriera in ambito medico, in cuor mio sapevo che oltre a essere quello un mestiere molto speciale – e che certamente avrei amato – esso rappresentasse anche una via “sicura” e ben retribuita per costruire un progetto di vita… in questo avevo anche il consiglio e l’appoggio della mia famiglia, naturalmente. Guardandomi attorno nel mondo lavorativo, ho capito che questo aspetto fosse (giustamente) prioritario per molti di noi. Le responsabilità sono grandi, il lavoro è tanto e prosciugante, il rischio di guai legali è sempre dietro l’angolo, e anche solo per svolgere il mestiere ci sono delle spese di fondo continue e fastidiose. Però, alla fine, ci si può permettere un tenore di vita agiato. Io certamente non ho mai visto un medico povero.

Eppure so che uno, almeno uno, in senso virtuoso, è esistito per davvero, e rappresenta uno straordinario esempio non solo per tutti i medici, ma anche per gli studenti di medicina e i laici che dedicano la loro vita al prossimo attraverso il loro mestiere.

Questo professore (nota bene) visse nella prima metà del secolo scorso; per essere esatti, nacque nel 1880 e morì nel 1927, a meno di 47 anni. Settimo di nove figli, figlio di giurista, non si sposò mai, e dopo la morte dei genitori e del fratello, infermo per anni dopo una brutta caduta da cavallo, visse solo in compagnia della sorella, che pure rimase nubile e casta, come lui. 

Nella loro amata Napoli, cento anni fa, la povertà era dilagante, le condizioni igieniche erano scadenti, epidemie e morti infantili erano un flagello costante, e tante volte il medico si trovava di fronte alle conseguenze della malnutrizione più che a vere e proprie malattie. Curarsi, per molti, rappresentava un lusso.

Ma Moscati non chiedeva nulla ai meno abbienti che si rivolgevano a lui nel suo studio, solamente preghiere; non sono rari i casi in cui, oltre alle prescrizioni, lasciasse anche qualche soldo ai suoi pazienti più poveri. Di fronte al suo studio medico pose un cestino su cui aggiunse una frase: “Chi ha, metta. Chi non ha, prenda.”

Fu brillante e dalla densissima carriera; si distinse non solo per la sua genialità pionieristica, che gli meritò larga fama internazionale, ma soprattutto per la sua personalità, e per il suo modo unico di approcciarsi ai sofferenti. Si pronunciava con cotanta precisione e sicurezza nelle sue diagnosi e prognosi che i colleghi – ben consapevoli della sua devozione a Cristo – sospettavano che le parole gli sovvenissero anche per ispirazione divina.

La sua era una vita spirituale ben nutrita, favorita dalla sua educazione famigliare e dalla sua predisposizione personale, evidente sin da quando era bambino, e costantemente accompagnata dai sacramenti (in primis, la messa mattutina quotidiana). Complice l’esperienza della malattia del fratello, e la posizione della casa giusto di fronte all’ospedale degli Incurabili, capì presto quale fosse il suo desiderio più profondo, la sua vocazione. Gli chiesero spesso se con tutta quella fede, avrebbe mai voluto farsi sacerdote. Ma a queste domande rispondeva che avrebbe potuto fare molto più bene da medico che da frate!

Nel mio cuore medito spesso una sua frase, che solo un uomo di abissale integrità poteva pronunciare: «Ama la verità; mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio.»

Sono parole eroiche, difficili da vivere, ma che mi danno una grande forza. Qualche mese fa ho avuto l’onore di conoscere colleghi che per me simboleggiano queste parole: hanno fatto scelte che hanno avuto un prezzo, pur di seguire ciò che ritenevano fosse vero e giusto. Ma oltre quella cortina di buio e sofferenza, c’era la grazia. Mi hanno rivelato una cosa: combattere per la verità li ha resi liberi, liberi in un modo che prima non conoscevano, e che quella conquista li ha resi più forti che mai. Li ha forgiati. Li guardo ancora adesso e mi sembrano dei giganti, che nella loro umiltà ed empatia, oltre che grande preparazione, mi hanno ricordato Moscati. Magari questa era l’impressione che lui faceva ai colleghi. Penso sia un onore averne avuto un assaggio.

Maria Chiara Di Giovanni

Fonti: https://www.vatican.va/news_services/liturgy/saints/ns_lit_doc_19871025_moscati_it.html

“San Giuseppe Moscati, un grande nella carità”, Padre Carlo Colonna s.j., Casa editrice Shalom

2 Responses

  1. Quanto preziosi sono quei medici che curano e il corpo e l’Anima! San Giuseppe Moscati sia il modello da seguire per tutti i nostri giovani medici che, come Mariachiara, intraprendono questa nobile missione

  2. Brava dott.ssa, i tuoi studi e il tuo lavoro sono ispirati dalla vita di S. Giuseppe Mosconi. Forse non sarai mai ricca in soldi, ma sarai ricchissima di gratitudine, stima , riconoscenza e amore da parte dei tuoi pazienti. Che il Signore illumini la tua strada!

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