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L’amore misericordioso di Dio (pt. 3)

La misericordia di Dio si è incarnata in Gesù Cristo. 

Il Figlio, in piena libertà e in totale obbedienza al Padre, ha rinunciato alla sua regalità per farsi umilmente piccolo e indifeso; ha scelto di nascere in una famiglia materialmente povera, ma spiritualmente ricchissima; ha scelto la città con la peggiore fama al tempo; ha scelto di rivestire le vesti di un migrante; ha scelto di proclamare la Verità scontrandosi con i dottori del Tempio; ha scelto di immergersi nel Giordano per ricevere il Battesimo e farsi carico di tutti i peccati dell’umanità; si è lasciato incatenare, giudicare, condannare a morte, torturare, sbeffeggiare, crocifiggere (come i peggiori delinquenti o come gli schiavi) dai suoi stessi fratelli continuando a pregare per noi, continuando a rimanere fedele al Padre per donarci la salvezza eterna; è disceso agli Inferi, nel posto più infimo della terra, per donare la salvezza a chi ancora era in attesa che Gesù aprisse le porte del Paradiso. Ha scelto, in poche parole, l’ultimo posto perché gli ultimi potessero sperimentare l’amore di Dio per loro. Ed è per questo che per trovare Dio è necessario stare tra gli ultimi. Dio li hai scelti come figli prediletti, non per raccomandazione, ma perché essi, sperimentando la loro miseria (che in realtà abbiamo anche noi, ma spesso celata dietro il benessere materiale) si affidano totalmente a Dio, rimasta loro unica risorsa.

La misericordia di Dio si manifesta in un moto di discesa, di rinuncia a tutto, di continua spoliazione da parte di Gesù in piena umiltà e in totale amore verso il Padre e i suoi fratelli. Gesù non è stato geloso del suo essere figlio di Dio, ma ha voluto condividere con tutti noi questo dono immenso. Con il suo sacrificio siamo stati salvati. Il nostro debito l’ha già pagato Cristo donando la sua vita per me, per te.

Anche noi, dopo aver sperimentato l’immensità dell’amore di Dio, siamo inviati perché anche i nostri fratelli e le nostre sorelle possano sperimentare di essere amati da Dio come lo siamo noi. Quanto più imitiamo Cristo, quanto più iniziamo il percorso di spoliazione di noi stessi, delle nostre finte sicurezze, quanto più vediamo, viviamo e accettiamo tutta la nostra debolezza sarà allora che Dio potrà agire potentemente in noi. Così dice san Paolo “[…] quando sono debole, è allora che sono forte’’ (2 Cor, 12, 10). Nella lettera ai Corinzi san Paolo ha ricordato di aver chiesto per ben tre volte a Dio di liberarlo da una spina nella carne attraverso cui il demonio lo percuoteva di continuo (2 Cor 12, 7-10), ma Dio non l’ha esaudito. Paolo ha interpretato questa scelta di Dio come dettata dalla necessità che egli non si insuperbisse. 

Infatti è proprio nello sperimentare la nostra debolezza che siamo portati a rivolgerci a Dio, ad esempio nella Confessione.

Generalmente i peccati che un penitente confessa sono sempre gli stessi (questo è già un lato positivo: almeno i peccati non aumentano) e si potrebbe leggere in ciò un parallelismo con la spina di Paolo: per ciascuno di noi c’è qualche particolare spina da cui originano sempre gli stessi peccati. Per quanto siamo chiamati a combattere contro le tentazioni e il peccato, quella spina è per noi una benedizione perché attraverso di essa noi siamo portati a tornare a Dio, a incontrare il Volto della sua misericordia.

Cassio Longino, il centurione che trafisse con la lancia il cuore di Gesù, compì un gesto di per sé orribile, ma è ancor più atroce se si pensa che quella persona era Dio, la stessa che lo aveva creato e lo aveva amato tanto da morire in croce per lui, per la sua salvezza.

Nonostante questo, Dio ha trasformato quel gesto così atroce in occasione di conversione e di salvezza per Cassio Longino, ma anche per tutti noi, perché proprio da quella lacerazione del cuore sono sgorgati il sangue e l’acqua sorgente di misericordia per il centurione e per ciascuno di noi.

Il peccato è qualcosa di cui pentirsi, da combattere, ma anche occasione per chiedere e ottenere la misericordia di Dio per la nostra salvezza.

Ogni volta che pecchiamo possiamo tornare al Padre (tramite la Confessione) e sperimentare quell’amore totale di Dio, che non aspettava altro che il nostro ritorno, quell’amore incontenibile che rompe ogni schema della sapienza umana, quell’amore che ci rigenera e ci ricorda che siamo amati anche se abbiamo commesso il peggiore dei crimini. Dio ti ama. Punto. E non devi fare nulla per meritare quell’amore. 

Un vescovo di Nazareth commenta così il gesto del Padre che corre incontro al figliol prodigo: “In Oriente, mai un padre corre incontro al figlio, neppure se questi ritorna coperto di gloria o di diplomi. Sarebbe indegno del suo ruolo di capo famiglia. Tutt’al più guarderà dalla finestra per vederlo arrivare. Ma lo accoglierà seduto in poltrona, gli tenderà la mano perché egli la baci, si alzerà, lo bacerà e solo allora gli domanderà coma sta. La madre sì, gli correrà incontro, ma il padre no. È qualcosa di impensabile per la nostra mentalità’’[1].

Dio sconvolge tutti i nostri schemi perché l’unica legge che Egli segue è quella dell’amore. L’amore è sempre creativo e libero da tutti i meccanismi che lo ostacolano.

Possiamo chiedere a Dio, durante questa Quaresima, di aiutarci a svuotarci di noi stessi per essere ricolmati dello Spirito Santo e per fare esperienza di tutto l’amore misericordioso che Dio prova per noi.

Francesca Amico


[1] A. DAIGNEAULT, La via dell’imperfezione. La santità dei poveri, Cantalupa (TO), Effatà Editrice, 2012, p. 76.

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