Mister Mancini, la forza della testimonianza
L’Italia è il paese dei santi, dei poeti e dei navigatori… ma quando c’è la Nazionale di calcio impegnata in manifestazioni internazionali siamo anche tutti allenatori. Il campionato europeo del 2020, rinviato a causa della Pandemia da Covid-19, si sta svolgendo in questa calda estate 2021, e gli Azzurri hanno conquistato il cuore degli italiani, sfibrati da mascherine, coprifuoco, contagi e sofferenze. L’Europeo è un’occasione, forse la prima, per evadere dall’incubo Covid, attenuato ma non ancora del tutto cancellato. Siamo tutti C.T, si diceva, ma uno lo è per contratto: è Roberto Mancini, marchigiano di 54 anni famoso, quando era calciatore, per la sua eleganza con il pallone tra i piedi, eleganza che ha poi traslato nel nuovo ruolo di allenatore apparendo sempre con un look impeccabile. Ha vinto tanto mister Mancini, con squadre italiane ed europee, ed ora è impegnato a risollevare le sorti di una nazionale che ha subito l’onta storica della mancata partecipazione al Mondiale russo del 2018. Mi direte: “Ma cosa c’entra un approfondimento sportivo su questo blog?” Non parlerò di dove possa arrivare l’Italia o di quali siano le avversarie più pericolose, non mi esporrò su chi debba giocare in difesa o a centrocampo, ma vorrei fare un piccolo focus proprio sul “Mancio”, il nostro mister.
Pochi giorni fa, infatti, mi è capitato di leggere al volo una intervista del mister azzurro che parlava di Medjiugorie. Fa sempre effetto vedere un uomo di sport, ed in questo caso un uomo di primissimo peso nel panorama sportivo italiano, parlare di fede. Alcuni sportivi, spesso i sudamericani, non fanno mistero della loro fede, e la esternano con magliette, bandiere, tweet o frasi durante le interviste. Così fanno anche alcuni atleti musulmani. I nostri atleti, invece, sono forse un po’ restii a trattare l’argomento, salvo rari casi. Leggere quindi un’intervista all’uomo di punta dell’estate 2021 in cui parla di se e del suo rapporto con Dio e con Maria è dunque sorprendente.
Roberto Mancini racconta di essersi formato,da ragazzino, nell’oratorio, inseguendo (ovviamente) un pallone. “Mi ha aiutato a crescere bene”, racconta. Poi l’allontanamento dalla fede, tipico di tanti adolescenti, che nel suo caso corrisponde anche all’inizio di una carriera davvero di primo piano: titoli su titoli vinti con squadre outsider (Sampdoria in particolare, ma anche Lazio), un calcio elegante, raffinato, di classe, la maglia numero 10 a fargli compagnia. Ed anche un rapporto complicato con la Nazionale, in cui Roberto non ha mai sfoggiato fino in fondo le sue qualità. E poi, una volta appese le scarpe al chiodo, una nuova carriera, quella dell’allenatore. Giovanissimo con Fiorentina e Lazio, più maturo con l’Inter, con cui vince scudetti e coppe in abbondanza, esperienza grazie alla quale viene notato anche all’estero. Va in Inghilterra e conquista un campionato pazzo, deciso all’ultima partita nei minuti di recupero, con il Manchester City, la parte meno nobile e gloriosa di Manchester, abituata a colorarsi più di rosso (il colore dei rivali del Manchester United) che di blu Citizens. Una parentesi in Turchia, anche questa vincente, ed il ritorno all’Inter,avventura molto meno positiva rispetto a quella precedente. E poi l’approdo alla guida della Nazionale italiana dopo un difficile anno in Russia, allo Zenit San Pietroburgo. Gloria, soldi, successo, bella vita. Ma tutto questo a Roberto, evidentemente, non bastava.
Un riavvicinamento alla fede è avvenuto tramite alcuni viaggi a Medjugorie e l’incontro con i veggenti. Il mister ha raccontato che, prima di partire per la terra slava, gli capitò di sognare Vicka, donna che non aveva mai visto né conosciuto: una cosa stranissima, dice lui, eppure un evento che lo ha segnato, raccontato anche alla stessa veggente “protagonista” del sogno. Diversi viaggi, si diceva, e una sicurezza: “Credo nelle apparizioni; capisco che si possa avere un’opinione diversa in materia, ma credo che questo pensiero vada rispettato”. Un ritorno alla fede, dunque, mediato da due donne, Maria in primis e, appunto, Vicka. Fede che, per il tecnico, è rimasta viva, e lo accompagna anche ora: “La fede mi ha aiutato nei momenti più difficili della mia vita, e mi aiuta anche adesso”.
Possono sembrare parole di circostanza, o poco significative, ma l’esposizione dei propri sentimenti, ed in particolare della propria fede, nel mondo dello sport, non è così scontata. Il relegare questo aspetto della propria vita ad un luogo nascosto, intimistico e dunque lontano dai riflettori, è peculiarità sempre più tipica del mondo occidentale, ed in particolare dello scenario europeo. La testimonianza di Mancini ha, quindi, un peso specifico ancora maggiore, tanto più perché rilasciata a ridosso di una competizione internazionale che lo avrebbe visto sotto i riflettori h24 per almeno un mese. Mancini non ha fatto proselitismo, non ha cercato di convincere i suoi ascoltatori usando strategie o retorica: ha semplicemente raccontato la sua esperienza, la sua vicenda, con chiarezza e semplicità. Anche noi, persone non famose e con una cassa di risonanza minore rispetto a quella dell’allenatore della Nazionale di calcio, possiamo fare la differenza. Come? Raccontando a colleghi, amici, familiari o conoscenti la nostra esperienza di fede. Con semplicità, senza usare toni enfatici o immagini ad effetto. La forza della fede, dagli apostoli fino a noi, si basa su fatti chiari, umili e grandi al tempo stesso. Anche il semplice dire: “Credo in Gesù, credo che sia mio amico, desidero avere un rapporto con Dio Padre, desidero ritagliarmi dei momenti di preghiera” possono essere luci per chi è lontano, per chi non ha avuto ancora un incontro vivo e vero con il Signore. Certamente, la propria testimonianza non può essere fatta a cuor leggero, servono gli spazi e i tempi giusti, ma se chiediamo al Signore di essere suoi strumenti, è certo che Lui ci indicherà come e dove provare a portare la luce. Rischiamo di fare brutte figure, di subire incomprensioni o giudizi? Probabile. Ma la forza dell’amore di Dio va oltre tutto questo e può raggiungere i cuori più impervi.
E allora grazie, Mister: grazie per la tua testimonianza, grazie perché hai avuto il coraggio di esporti e di raccontare a tutti noi un aspetto così profondo di te, grazie perché ci hai ricordato che possiamo testimoniare anche noi, nella vita quotidiana, con poche parole e con forza il nostro amore per Gesù. Grazie, mister Mancini. E ovviamente, Forza Italia!
Francesco Simone
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