Fare la differenza
Chi crede nell’aldilà, sia chiamato esso Paradiso, Valhalla o Campi Elisi, sa perfettamente che la vita terrena sia un mezzo per ottenere il “premio eterno”, la salvezza. A questo punto, quindi, se basta credere per essere salvi, vige la regola della relatività: non è importante tanto venerare una divinità piuttosto che un’altra quanto vivere bene, rispettando le regole ed essendo convinti che la fede possa salvarci. Ora proviamo a ragionare non come uomini del XXI secolo ma come quelli del XIX. È molto importante.
Nell’Ottocento la società europea usciva, secondo alcuni malconcia secondo altri rinnovata, dalla Rivoluzione francese, un evento che ha irrimediabilmente cambiato il corso della storia, anche quella della Chiesa. Per farvi capire brevemente, prima della presa della Bastiglia, della ghigliottina, di Robespierre e Marat e del terrore giacobino, la società confessionale si basava su un legame stretto tra lo Stato e la Chiesa: lo Stato proteggeva la religione di Stato con molte concessioni ma in cambio voleva che fosse sotto il suo controllo, la Chiesa chiedeva di avere un ruolo civilizzatore nella società. Questo in sintesi estrema! E poi? L’Illuminismo trova concretezza in una serie di provvedimenti che separano la sfera civile da quella religiosa, iniziando a parlare di liberalismo ovvero di una serie di libertà inviolabili che ogni uomo deve possedere, tra le quali anche la libertà di culto. Come recitava la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789), non per forza un cittadino deve essere cattolico o protestante per vivere bene! La Chiesa si spaccò in due, la reazione post-rivoluzionaria non è univoca: da una parte i cattolici liberali sono convinti che i principi del Vangelo possano sposarsi bene con quelli democratici e liberali, dall’altra gli intransigenti invece “si strappano le vesti” convinti che solo la morale e la dottrina cristiane possano salvare l’uomo. Che fare? Sul soglio di san Pietro in Vaticano si susseguono pontefici che, prima di essere tali, sono stati vescovi ed hanno affrontato la questione sul campo. Come Gregorio XVI, al secolo card. Mauro Cappellari, che nel 1832, un anno dopo la sua nomina, pubblica una famosa enciclica (Mirari vos) nella quale denuncia apertamente i pericoli del liberalismo e condanna l’indifferentismo ovvero quel pensiero per il quale sia indifferente la confessione religiosa per salvare la propria anima! Per decenni Roma ha portato avanti questa linea di pensiero. Sarebbe lunga la faccenda da riassumere in poche righe ma basti sapere che l’atteggiamento intransigente venne adottato fino alle soglie del Novecento, con una lunga lista di encicliche dallo stesso sapore.
Vi starete chiedendo la ragione di questa ricostruzione storica o, cosa più importante, il senso pratico nella nostra vita di questo tema. Domanda più che legittima e giusta. Quando una cosa ci viene imposta dall’alto, senza tener conto della nostra volontà, non solo non la facciamo ma proviamo anche odio e resistenza nei suoi riguardi. Per la fede si tratta della stessa cosa e i padri conciliari del Vaticano II lo intuirono subito quando firmarono la dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa. Vi condivido solo un breve passaggio: «Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa».
San Giovanni XXIII comprese che la forza o la coercizione non sono strumenti utili in un momento di crisi, anche spirituale: l’indifferentismo non doveva essere considerato come un limite, bensì come un’opportunità. Di fronte alla sua scelta libera, ciascuno di noi può scegliere in cosa credere o non credere. Dio stesso ci vuole liberi di amarlo e seguirlo, altrimenti che rapporto sarebbe? A questo punto, però, bisogna capire come la Chiesa si ponga. Se si chiude a riccio non otterrà nulla. Se invece porta il messaggio evangelico nel mondo, con atteggiamento missionario le cose cambiano. E, quando parlo di Chiesa, non penso solo ai sacerdoti ma anche a me e a te, laici che operano nel mondo delle professioni. Viviamo in pienezza la nostra vita cristiana, mostriamo a chi non crede i frutti della fede, tendiamo la mano verso chi soffre e si sente senza direzione. Configuriamoci a Gesù e non ci sarà più bisogno di condannare l’indifferentismo o il liberalismo perché ogni singolo uomo, in cuor suo, conoscerà la verità e saprà liberamente quale strada intraprendere. Passiamo dall’essere indifferenti al fare la differenza!
Emanuele Di Nardo
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