Vi siete mai chiesti il senso profondo della vostra vita? State tranquilli, non dobbiamo dare una risposta teologica o filosofica. Però è innegabile che l’uomo, per natura, voglia trovare il significato vero di quello che fa: penso ad un medico che, per quanto sia chiamato a curare i suoi pazienti, si chiede sempre se la sua mansione termini lì o vada oltre. Oppure pensiamo a lavori più umili che apparentemente non hanno tutta questa finalità nobile ma che allo stesso modo devono essere compiuti al meglio per avere un senso. Più rifletto sulla ricerca del senso profondo del mio lavoro o del mio studio e più mi viene in mente sant’Andrea apostolo che la Chiesa ha commemorato qualche giorno fa. Vi starete chiedendo il perché, è naturale. Il motivo è semplice. Ma andiamo per gradi.

I Vangeli ci riportano la scena dei fratelli Andrea e Simone (il futuro san Pietro) intenti a svolgere il loro lavoro, quello di pescatori nel mare di Galilea mentre gettano le reti nell’acqua. Gesù, passando di lì, li chiama e chiede loro di seguirlo perché li avrebbe fatti pescatori di uomini. La scena si conclude con i due fratelli che prontamente lasciano tutto per seguire Cristo. Un racconto davvero sintetico ma che contiene una grande luce per noi: è incredibile vedere come due persone, per quanto piene di fede, lascino tutto e seguano uno sconosciuto. In quanti tra di noi sarebbero in grado di fare lo stesso? Credo che si conterebbero sulle dita di una mano. Ma non dobbiamo pensare che la vocazione sia solo quella sacerdotale o missionaria per cui uno deve prendere e partire senza una meta certa. La vocazione è la chiamata alla santità ovvero è lo strumento (lavoro, famiglia, hobby) attraverso il quale possiamo essere davvero felici e contribuire alla felicità altrui. 

Ma cosa c’entra sant’Andrea con noi? La sua storia è la nostra (potenziale) storia: Andrea, che in greco vuol dire “primo chiamato”, è un umile pescatore che comprende che possa mettere il suo talento per la pesca al servizio di Dio aiutando gli altri. Ma non gli viene chiesto di cambiare totalmente la sua vita o di svolgere un lavoro nuovo. Gesù gli chiede di approfondire il suo lavoro (pescatore di uomini), rendendolo una vocazione, una chiamata insomma. Solo così può dare davvero frutto. Allora pensiamo a noi: in molti siamo ancora studenti, mentre altri sono già nel mondo del lavoro. La fede non implica che tu o io dobbiamo stravolgere la nostra vita esteriormente, rinunciando ai nostri talenti e assumendo un atteggiamento triste e remissivo perché non siamo soddisfatti. Proprio il contrario! La vocazione è entrare nel profondo di ciò che siamo e rendere la nostra passione, la nostra vita. Quindi, sant’Andrea ci porta a riflettere sull’essenza della nostra vita. Tu che sei insegnante, continuerai ad insegnare ma il tuo lavoro non sarà più quello di dare lezioni ai tuoi studenti ma di educarli ovvero di trarre il meglio da loro, aiutandoli a crescere e a formarsi. Tu che sei medico, continuerai a curare i malati ma non si tratterà più di prescrivere delle medicine che possano ritardare la morte bensì aiuterai il tuo paziente a vivere meglio il suo presente, ridonandogli salute e speranza. Tu che sei un architetto, continuerai a progettare palazzi ma non si tratterà più di abbozzare dei disegni su un foglio ma di andare oltre, d’immaginare quante storie bellissime potranno avverarsi tra le mura che tu hai pensato.

Sant’Andrea era un pescatore di pesci ed è diventato un pescatore di uomini perché Gesù conosceva le sue potenzialità e l’ha scelto per un compito più grande. Tutti noi abbiamo delle potenzialità e dei talenti che ci sono stati dati ma che non sempre mettiamo a frutto. Prendiamo esempio da questo santo per comprendere quale sia la vera essenza del nostro lavoro e capire se possiamo dare di più. Ricordandoci che essere santi non è una condizione che hai dalla nascita ma è il frutto di una vita vissuta in pienezza!

Emanuele Di Nardo

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