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Il discernimento, il dono di essere figli liberi e amati (pt.3)

Dopo aver affrontato il tema della preghiera, chiave per accedere alla prima porta di quelle che ci conducono a scoprire il grandioso progetto di Dio per noi, osserviamo oggi la seconda chiave: la conoscenza di sé.

Conoscere sé stessi

Conoscere sé stessi non è facile perché “il discernimento […] coinvolge le nostre facoltà umane: la memoria, lintelletto, la volontà, gli affetti. Spesso non sappiamo discernere perché non ci conosciamo abbastanza, e così non sappiamo che cosa veramente vogliamo’’[1]

Un grande maestro di discernimento ha riferito “Sono giunto alla convinzione che lostacolo più grande al vero discernimento (e ad una vera crescita nella preghiera) non è la natura intangibile di Dio, ma il fatto che non conosciamo sufficientemente noi stessi, e non vogliamo nemmeno conoscerci per come siamo veramente. Quasi tutti noi ci nascondiamo dietro a una maschera, non solo di fronte agli altri, ma anche quando ci guardiamo allo specchio’’[2].

Conoscere sé stessi non è difficile, ma è faticoso: implica un paziente lavoro di scavo interiore. Richiede la capacità di fermarsi, di disattivare il pilota automatico”, per acquistare consapevolezza sul nostro modo di fare, sui sentimenti che ci abitano, sui pensieri ricorrenti che ci condizionano […] anche la vita spirituale ha le sue password”: ci sono parole che toccano il cuore perché rimandano a ciò per cui siamo più sensibili. Il tentatore, cioè il diavolo, conosce bene queste parole-chiave, ed è importante che le conosciamo anche noi, per non trovarci là dove non vorremmo. La tentazione non suggerisce necessariamente cose cattive, ma spesso cose disordinate, presentate con una importanza eccessiva. In questo modo ci ipnotizza con lattrattiva che queste cose suscitano in noi, cose belle ma illusorie, che non possono mantenere quanto promettono, e così ci lasciano alla fine con un senso di vuoto e di tristezza. Quel senso di vuoto e tristezza è un segnale che abbiamo preso una strada che non era giusta, che ci ha disorientato. Possono essere, per esempio, il titolo di studio, la carriera, le relazioni, tutte cose in sé lodevoli, ma verso le quali, se non siamo liberi, rischiamo di nutrire aspettative irreali, come ad esempio la conferma del nostro valore. Tu, per esempio, quando pensi a uno studio che stai facendo, tu lo pensi soltanto per promuovere te stesso, per il tuo interesse, o anche per servire la comunità? Lì, si può vedere qual è lintenzionalità di ognuno di noi. Da questo fraintendimento derivano spesso le sofferenze più grandi, perché nessuna di quelle cose può essere la garanzia della nostra dignità’’[3].

Un aiuto concreto per conoscersi meglio è l’esame generale, che ci educa “ad avvertire con trasparenza ciò che hai dentro: è determinante per agire con libertà e responsabilità […] è utile farlo alla sera, per rileggere davanti a Dio la tua giornata come una pagina di storia sacra. Ogni giorno è un tuo contributo a questa grande opera, che è insieme di Dio e tua. La storia vera, quella del rapporto tra uomo e Dio, si scrive nell’ordinarietà della vita quotidiana’’[4].

Concretamente è possibile fare l’esame generale in cinque passaggi:

  1. Mettersi alla presenza di Dio per ricordare e ringraziarlo per tutti i benefici ricevuti in dono da Lui: questo momento serve per imparare a guardarci con gli occhi innamorati con cui Dio guarda ciascuno di noi, nonostante tutti i nostri difetti;
  2. chiedere la grazia di conoscere i peccati ed eliminarli: “è la grazia della salvezza in cui capisci il male come tale e in esso accogli il sommo bene: il dono del per- dono!’’[5];
  3. chiedere conto a sé stessi dall’ora in cui ci si è svegliati al momento dell’esame generale in ogni arco temporale dei pensieri (ossia «quale sentire ha accompagnato il tuo “agire’’? Che “colore’’ hanno avuto i vari momenti della tua giornata? Gioia o tristezza? Ricordo o dimenticanza, gratitudine o orgoglio, fiducia o sfiducia, depressione del proprio “io’’ o entusiasmo in “Dio’’?») delle parole («le tue parole corrispondono ai tuoi pensieri, e a quali pensieri? Sono parole e pensieri di menzogna o di verità, di orgoglio o di umiltà, di dominio o di servizio, di cattura dell’altro o di dono di sé, di chiusura o di apertura?») e delle azioni («la tua azione corrispondeva all’intenzione? È ciò che volevi, e ciò che volevi è buono? Con che sentimenti hai agito? Che sentimenti ha ingenerato in te la tua azione? Armonia o disappunto, pace o inquietudine?»);
  4. chiedere perdono a Dio per le mancanze: “se il bene ti fa andare avanti, il male non ti blocca: diventa il luogo della conoscenza di Dio come amore gratuito, senza condizioni né limiti. Nel perdono sperimenti l’essenza tua e di Dio’’[6];
  5. proposito di correggerti con la sua grazia e conclusione con un “Padre Nostro’’: “convertirsi vuol dire “girarsi in direzione opposta’’: ti volgi dal tuo io a Dio, dai tuoi sentieri contorti alla sua via’’[7].

Chiediamo a Dio il dono di accompagnarci in questo cammino alla scoperta di noi stessi, perché possiamo individuare la chiave che ci consenta di vivere una vita piena di significato e incendiata dell’amore di Dio.

Francesca Amico


[1] PAPA FRANCESCO, Catechesi sul discernimento. Catechesi di Papa Francesco dal 31 agosto 2022 al 4 gennaio 2023, pag. 13.

[2] T. GREEN, Il grano e la zizzania, Roma, 1992, pag. 25. 

[3] ivi, pag. 14.

[4] S. FAUSTI, Occasione o tentazione? Scuola pratica per discernere e decidere, Milano, Ancora Editrice, 1997, pag. 61.

[5] ivi, pag. 62.

[6] ivi, pag. 64.

[7] ibidem.

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