Sulla strada di Emmaus…
Qualche giorno fa sono andato da un fornitore per un lavoro che dovevo riconsegnare e, nell’attesa che il materiale fosse pronto, ci siamo messi a chiacchierare un po’ sulle nostre ferie da poco concluse. Ad un certo punto il discorso si sposta sul Cammino di Santiago, visto che lui sapeva che avrei fatto questo viaggio. E mi dice: “Tutti quelli che tornano da Santiago ammettono di essere completamente cambiati, come se lì accadesse qualcosa di speciale. Tu invece? Sei tornato cambiato?”. Colto di sorpresa da questa domanda così diretta, ho riflettuto un attimo prima di rispondere: “Si, è innegabile che il Cammino ti metta di fronte a tante sfide e parti di te che forse nemmeno conosci. Tuttavia, avendo già fatto esperienza di fede, ti posso dire che più che cambiato totalmente sono tornato più focalizzato, purificando alcune intenzioni, e rigenerato nello spirito e nel corpo per affrontare le nuove sfide dell’anno”.
Vedendolo interessato alla discussione, ci siamo spinti ancora più in là con una naturalezza spettacolare. Lui mi fa: “Vivere con la fede un’esperienza del genere non ha prezzo, infatti non capisco quanti si fanno 120 km, durante le ferie casomai, per arrivare a Santiago e nemmeno andare a messa. Tu hai vissuto bene il tutto? Secondo me 5 giorni non bastano perché ora che entri nello spirito giusto del pellegrinaggio sei già arrivato a metà percorso”. Io condividevo il suo parere e, nel continuare la conversazione, come se fossi stato illuminato da una luce nuova, con un pensiero ispirato dalle sue considerazioni, gli dico: “I primi due giorni ho fatto molta difficoltà a concentrarmi e ad entrare nello stile del pellegrino, vuoi perché le strade erano molto affollate e c’erano pochissimi momenti di silenzio e solitudine, vuoi perché stando in gruppo era difficile non cogliere l’occasione per condividere con i propri compagni di viaggio. Il secondo giorno soprattutto, con la mente altrove perché alcuni di noi stavano male e soffrivano tanto nel corpo, ero poco connesso con Dio. E mi sono sentito come i discepoli di Emmaus che, rattristati dalla morte di Gesù, se ne andavano sconsolati come se la gioia ed il desiderio di stare con Lui non fossero più realizzabili. Il pensare al passato, alle preoccupazioni di ciò che avevo lasciato a Chieti ma anche preso dalle scelte che avrei dovuto fare una volta tornato in Italia, mi stavano lentamente sfiancando più delle ore di cammino sotto il sole. Al punto che, se si fosse presentato Gesù in persona, non l’avrei riconosciuto…”.
Finiamo la condivisione, ci salutiamo e riprendo il furgone per fare altri giri. Eppure nel cuore e nella mente ero ancora preso da quell’incontro. Mi rimproveravo perché la mia condivisione non era stata così travolgente. Cavolo, ero stato a Santiago, una persona voleva sapere cose di una certa caratura spirituale ed io gli ho parlato solo di problemi e difficoltà! Rattristato, allontanai il pensiero e mi misi a lavoro. La sera, tornato a casa, passando vicino alla mia libreria ho trovato un libro comprato tanti anni fa, da bambino, sulla storia dei discepoli di Emmaus perché mi piaceva la copertina (Dio si serve di ogni mezzo possibile per compiere la sua volontà!). Non l’ho aperto perché ero stanco ma ripensavo al perché avessi citato proprio quest’episodio del Nuovo Testamento e poi compresi! Durante quella giornata di cammino, nonostante fossi immerso nei miei pensieri e nelle mie preoccupazioni, avevo vissuto lunghi tratti accanto a persone diverse che mi avevano raccontato la loro vita o condiviso cose. Ed io ero proprio come quei due discepoli che, allontanandosi da Gerusalemme (il mio mondo), avevano ancora le scorie del passato e non stavano in pellegrinaggio, semplicemente camminavano verso una meta ignota.
La sera, com’era nostra abitudine, abbiamo partecipato alla Messa. Sebbene fosse in spagnolo, vi erano 6 sacerdoti a concelebrare, da varie parti del mondo. Non so dirti, amico mio, cosa sia successo ma, dopo aver ricevuto la comunione, ho sentito dentro di me una gioia indicibile, come se non avessi mai partecipato ad una messa in vita mia. C’erano persone accanto a me che pregavano, piangevano, lodavano, ringraziavano ognuno nella propria lingua. Ed io lì riconobbi Gesù. Come i discepoli di Emmaus intorno alla tavola lo riconobbero dallo spezzare il pane, io ebbi la stessa sensazione. E condividevo ad alcune amiche lì vicine a me che solo in quell’istante, dopo oltre 40 km già percorsi, stava iniziando finalmente il mio pellegrinaggio verso la tomba di San Giacomo. Poi la celebrazione si concluse con il coro che intonava Alma misionera, un canto al quale sono molto legato e che rappresenta proprio l’invio dei cristiani nel mondo.
Amico mio, ti racconto questa cosa perché davvero Emmaus possa essere il nostro quotidiano punto di svolta. Se sei in un periodo di scelte per il futuro o se sei deluso da qualcosa, se non sai che direzione prendere o se, al contrario, la rotta scelta si fa sempre più ardua, sappi che non sei solo. Quei discepoli erano stati a contatto per mesi e mesi con Gesù eppure non lo riconobbero subito. Gesù passa nella vita di tutti, ogni giorno, e si rivela a noi in un modo così intimo e personale che solo tu puoi riconoscere il suo passaggio nella tua vita. Per il 2025 Papa Francesco ha intitolato il Giubileo come “Pellegrini della speranza”: allora riscopriamo la bellezza del pellegrinaggio, del mettersi in cammino e lasciarci purificare nelle nostre intenzioni attraverso il dialogo costante con Cristo. E portiamo tutto a messa, sull’altare, per offrire ogni fibra di noi stessi. Per poter dire anche noi, come i discepoli, “non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via?”.
Emanuele Giuseppe Di Nardo
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