Aldo Moro, una storia di sacrificio, speranza e salvezza
Ricorre oggi l’anniversario dell’assassinio di Aldo Moro, un giurista, professore nonché politico italiano che ha rivestito numerose cariche durante la sua carriera, da fondatore del partito della Democrazia Cristiana a Presidente dello stesso, oltre che Presidente del Consiglio dei Ministri in ben cinque occasioni.
In particolare, fu scelto come componente dell’Assemblea Costituente per redigere la Carta più importante della nostra Repubblica: la Costituzione.
Tra i tanti principi fondamentali che sono stati tutelati in un’ottica di dialogo tra le più disparate istanze dei vari partiti - democristiano, liberale, repubblicano, socialista, comunista -, in particolare un principio fu tutelato con rigore: la vita.
Ed è per questo motivo che all’art. 27 ancora oggi leggiamo “Non è ammessa la pena di morte’’, pena che era stata già abolita nel 1889, ma che era stata reintrodotta dal 1926 nel periodo fascista.
Si verificò un paradosso. Nonostante Aldo Moro si fosse sempre battuto per lo sfiancante dialogo tra i portatori di varie istanze, per la tutela di diritti fondamentali - tra cui il diritto alla vita, egli stesso fu condannato a morte all’esito di un presunto processo politico condotto dalle Brigate Rosse, in assoluta violazione di qualunque legge, non solo civile ma anche di natura.
Durante il periodo della sua prigionia - durata cinquantacinque giorni - Aldo Moro manifestò un esemplare, lucido e fermo attaccamento alla vita attraverso una serie di lettere che indirizzò ai politici che in quel momento si erano ritrovati in un’angosciosa situazione: intessere trattative sulla vita di Aldo Moro.
Fu un episodio molto buio della storia del nostro Paese che lasciò con il fiato sospeso non solo la popolazione, ma gli stessi politici che dovettero affrontare una delicatissima situazione in cui non solo era in gioco la vita di una persona - già situazione di per sé grave, ma la vita del Presidente della Democrazia Cristiana, la vita di un politico strenuamente legato ai valori della democrazia.
Era in gioco la forza e la credibilità di uno Stato repubblicano di fronte alla forza brutale di anarchici di estrema sinistra.
Nelle sue lettere, da cui emerge una lucida visione di quanto stesse accadendo, Aldo Moro sempre spronò i suoi fidati politici, che pensava fossero amici, a cercare un dialogo, a intessere relazioni, biasimando una rigida chiusura che con ogni probabilità avrebbe condotto al sacrificio della sua stessa vita. Perché a volte può sembrare meglio “che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera’’ (Gv 11,50).
Quello tra lo Stato repubblicano e le Brigate Rosse fu uno scontro altamente sanguinoso che si concluse con il sacrificio di un uomo (e di tante altre persone). Tuttavia, Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, ha aperto uno spiraglio di speranza testimoniandoci che la morte non ha l’ultima parola.
“Nessuno uccida la speranza, neppure del più feroce assassino, perché ogni uomo è una infinita possibilità” (Padre David Maria Turoldo).
Una frase, questa, che in molti può suscitare stupore e indignazione ma che al tempo stesso spiega il significato di un gesto alquanto rivoluzionario portato avanti da Agnese Moro.
Agnese ha avuto il coraggio di affrontare i suoi fantasmi del passato decidendo di partecipare, seppur dopo un iniziale rifiuto, al programma di giustizia riparativa che le avrebbe permesso di incontrare il volto degli autori della strage.
Ma cos’è questa giustizia riparativa di cui ultimamente si sente tanto parlare?
È un modello di risoluzione del conflitto che agisce in modo parallelo al sistema sanzionatorio e che parte da un presupposto fondamentale: considerare il reato come un evento che ha portato alla rottura del legame sociale esistente tra reo e vittima.
Più nel profondo, la giustizia riparativa, che presenta tra i suoi elementi strutturali anche quelli di natura teologica, è espressione di quel desiderio di andare oltre la logica punitiva - seppur con finalità rieducativa - che caratterizza il sistema penale.
Ascolto, confronto, empatia, perdono…sono alcuni degli elementi chiave che caratterizzano i programmi riparativi e dei quali Agnese Moro ha fatto esperienza in prima persona.
Il suo percorso è iniziato grazie all’invito di padre Guido Bertagna, interessato da anni alla giustizia riparativa, dopo ben trentuno anni dall’uccisione di suo padre.
Agnese, vincitrice nel dicembre 2023 del premio Primo Levi per il suo impegno nella giustizia riparativa, durante i suoi incontri con gli studenti racconta spesso di questo percorso meraviglioso e al tempo stesso doloroso. Attraverso questa lunga esperienza Agnese ha potuto conoscere inaspettatamente il dolore degli altri, di quei fantasmi che vivevano ormai nel suo passato e che non pensava potessero provare dei sentimenti. Ha imparato che dietro a quei volti vi sono delle persone, e che il dolore appartiene non solo alle vittime ma a qualsiasi uomo, nonostante i crimini commessi. Ha conosciuto “la meraviglia dell’incontro” che le ha permesso di non rimanere ancorata al passato e di superare quei sentimenti di rancore, odio, disgusto che l’avevano abitata per anni (cfr. Riparare il male, tra dolore e meraviglia, il portale della Diocesi Ambrosiana). Ha potuto mettere da parte quel silenzio e quel dolore assordanti che le stavano rendendo la vita “pesante”.
Grazie a questo percorso, Agnese e gli ex brigatisti, i suoi amici “difficili e improbabili” (ilsussidiario.net), hanno imparato a riconoscersi come persone, come esseri umani, attraverso la potenza dei volti e del dialogo.
Il percorso di giustizia riparativa giunge al suo culmine con il perdono, perdono che la stessa Agnese ha concesso ai suoi nuovi amici e che ritiene sia l’unico strumento di salvezza.
Salvezza: è proprio questo il significato originario della parola “giustizia” la quale nella terminologia ebraica è espressa con la parola “sedaqa”; parola originariamente intesa in accezione salvifica e legata all’azione del perdono (cfr. Dizionario Biblico GBU) e non ad una mera necessità di ripagare il male con un’ulteriore sofferenza nei confronti di chi lo aveva commesso.
Nella storia di Agnese (e di molte altre persone) possiamo accorgerci di come la giustizia che salva i rapporti umani si manifesta attraverso la capacità di riconoscere il volto dell’altro, il “nemico”, e porta alla sconfinata valorizzazione dell’umanità.
Solo mettendo al centro l’umanità possiamo ricostruire un mondo più umano, intessendo “un dialogo paziente per tenere conto della ragioni di ognuno che è vera democrazia’’1, sfida sempre accolta da Vittorio Bachelet, professore, politico democristiano, presidente dell’Azione Cattolica, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, anch’egli assassinato dalle Brigate Rosse.
Buon cammino verso la costruzione di una democrazia sempre più umana.
Francesca Amico - Miriam Di Giulio
P.s. Per approfondire il pensiero giuridico, politico, la personalità di Aldo Moro e il suo operato si consiglia di visitare la raccolta nazionale delle opere di Aldo Moro, di recente pubblicazione, al seguente link: https://aldomorodigitale.unibo.it
Si consiglia anche la visione della serie tv “Esterno notte’’ basata sul rapimento di Aldo Moro (disponibile su Netflix).
1 Giovanni Conso, amico di Vittorio Bachelet e Presidente emerito della Corte Costituzionale.
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