“Questo è il mio corpo’’: dono prezioso
Mi è capitato ultimamente di soffermarmi sul principio della creazione dell’essere umano.
Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: […] E Dio creò l'uomo a sua immagine […]’’ (Gn 1, 26-27).
Sono rimasta profondamente colpita dalla scelta di Dio (Trinità, offerta speciale 3x1, motivo per cui è utilizzato l’aggettivo “nostra’’ in luogo di “mia’’ immagine) di idearci a Sua immagine e somiglianza, ma poi di crearci solo a Sua immagine.
Potrebbe sembrare un errore di costruzione, in realtà la Sapienza di Dio è sempre un passo avanti ai nostri ragionamenti. Dio ha deliberatamente scelto di farci solo a Sua immagine per lasciarci la piena libertà di essere liberamente noi stessi. Dio ha instillato nel nostro DNA la Sua immagine (che già si manifesta nel momento in cui siamo tessuti nel grembo di nostra madre), ma anche la Sua somiglianza, lasciando a noi la libertà di cercarla, trovarla, coltivarla e di consentirle di sbocciare.
Ciascuno di noi, anche il più meschino degli esseri umani, ha nel suo DNA la somiglianza a Dio. Basta desiderare di rassomigliare sempre più a Dio e coltivarci in quella direzione per somigliare poco a poco, giorno dopo giorno, sempre più a Dio.
Per tale motivo non sono assolutamente esagerate le parole di san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi in cui dice “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi’’ (1 Cor 3, 16-17).
Non è una metafora, è la verità.
Il nostro corpo è sacro, possediamo nel nostro DNA la divinità di Dio, ma abbiamo la facoltà di farla emergere oppure no.
È certo, però, che al di là della scelta che noi compiamo (se assomigliare o meno a Dio), ogni offesa al nostro corpo è un oltraggio a Dio, non tanto perché siamo opera della sua creazione (quindi offendiamo il suo operato di Creatore), ma soprattutto perché Dio ha condiviso con noi la sua natura divina.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù ci dice “[…] vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi’’ (Gv 15, 15). Gesù ci ha amati donandoci totalmente e gratuitamente tutto ciò che era, che è e che sarà (spoiler: nell’al di là non esiste la dimensione temporale, è un’eterna eternità), senza alcuna eccezione e senza trattenere nulla per sé. Ci ha donato tutto. Ci ha donato la sua natura di figlio di Dio, rendendoci tutti figli di Dio. Ci ha donato perfino l’ultimo dono prezioso che gli era rimasto, la Madre. Dio non si è risparmiato in nulla, ci ha donato tutto. Tutto questo, per amore.
Se siamo tabernacolo dello Spirito Santo per nostra natura, ancor più lo siamo quando custodiamo dentro di noi l’Eucarestia.
Siamo chiamati a custodire il nostro corpo.
Una degenerazione a cui assistiamo in modo dilagante nei nostri tempi è lo sdoganamento del sesso come espressione della legittima pretesa di soddisfare gli istinti sessuali.
Purtroppo, in ciò c’è una grande menzogna, oltre che una notevole decadenza della bellezza dell’atto sessuale (spoiler: anche questo l’ha pensato Dio, desiderando che noi provassimo un intenso piacere nell’unirci in una sola carne con il nostro sposo o con la nostra sposa, ma Dio l’ha pensato in modo esponenzialmente più bello rispetto a come lo intendiamo noi).
La donna e l’uomo sono portatori di due desideri diversi che si incastrano alla perfezione: la donna desidera essere abbracciata, protetta, rassicurata, mentre l’uomo desidera, nel profondo, proteggere la sua amata, salvarla da ogni pericolo a cui va incontro, pronto a donare la sua vita per lei.
È anche vero, però, che l’uomo ha un approccio più fisico rispetto a quello della donna che è portata più, per sua natura, a ricercare un approccio più profondo. Per tale motivo la donna ha un compito fondamentale: verginizzare l’uomo. “Verginizzare vuol dire portare l’uomo al suo livello più elevato di uomo gratuito e generoso, capace di dare la vita per [la sua amata]’’[1].
Il dono del nostro corpo all’altro è il dono più prezioso che possiamo fare perché è ciò che di più prezioso abbiamo. Ogni volta in cui doniamo il nostro corpo stiamo dicendo “questo è il mio corpo, è ciò che di più prezioso ho e te ne faccio dono’’.
Tuttavia, se noi offriamo questo dono prima del matrimonio non c’è coerenza tra quello che diciamo con il corpo e quello che diciamo con la mente e con l’anima. Fisicamente diciamo “ti faccio dono del mio corpo’’, ma mentalmente e spiritualmente non siamo pronti ad accettare integralmente quella persona per tutta la vita. E più ci doniamo, più ci consumiamo.
La Chiesa è molto sensibile al tema della sessualità, ricordandoci la bellezza della castità, che è diversa dall’astinenza.
“La castità esprime la raggiunta integrazione della sessualità nella persona e conseguentemente l'unità interiore dell'uomo nel suo essere corporeo e spirituale. La sessualità, nella quale si manifesta l'appartenenza dell'uomo al mondo materiale e biologico, diventa personale e veramente umana allorché è integrata nella relazione da persona a persona, nel dono reciproco, totale e illimitato nel tempo, dell'uomo e della donna’’[2]. E il frutto della castità è che “La persona casta conserva l'integrità delle forze di vita e di amore che sono in lei. Tale integrità assicura l'unità della persona e si oppone a ogni comportamento che la ferirebbe. Non tollera né doppiezza di vita, né doppiezza di linguaggio’’[3].
La sessualità quindi si fonda sul “dono reciproco, totale e illimitato nel tempo, dell'uomo e della donna’’, ma un dono di questa rilevanza si può fare solo dopo la promessa di fondersi con corpo, mente e anima in una sola nuova persona. Con il matrimonio un uomo e una donna diventano una sola nuova persona e consacrano la loro unione con il rapporto sessuale, che diventa un rito sacro.
Come la messa è l'occasione per la Chiesa (quindi per tutti i battezzati) di ricevere il dono del Corpo di Cristo, così l'atto sessuale è l'occasione per due sposi per donarsi e ricevere reciprocamente il dono dei loro corpi, riaffermando di essere una sola carne[4].
Attraverso il matrimonio, riceviamo la grazia di poter davvero amare lo sposo, la sposa rendendoci schiavi della grazia, ossia spogliandoci della nostra “proprietà’’ sul nostro corpo perché il nostro sposo, la nostra sposa possa disporne pienamente senza neanche la necessità di chiedere il permesso. È in quel momento che davvero possiamo dire “Sono tuo, sono tua’’.
E tutto ciò non ha niente di degradante per l’essere umano, ma è l’elevazione della capacità dell’essere umano di amare come Dio. Lo stesso Dio ha scelto di incarnarsi, si è sottoposto alle nostre leggi del tempo e dello spazio, si è fatto carico del nostro peccato, si è fatto nostro servo (Dio si fa mio servo, Dio si fa servo della sua creatura) perché desidera ardentemente che ogni creatura viva pienamente amata e salvata.
Amare l’altro vuol dire desiderare e collaborare alla piena realizzazione del suo bene, anche se questo può ledere i nostri interessi. L’amore è libero e liberante dal nostro egoismo.
“L’evoluzione propriamente umana consiste nell’apprendistato dell’amore, nel dare la vita molto più che nel trattenerla, nell’essere mortali più che immortali’’[5].
Solo lasciandoci amare e imparando ad amare, l’umanità progredirà.
Francesca Amico
[1] A. LUCCA, Trombamica d’eccezione. 5 mosse per uscire dalle relazioni ambigue, Torrazza Piemonte (TO), Amazon Italia Logistica S.r.l., 2021, p. 207.
[2] CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, n. 2337. È possibile consultarlo al seguente link: https://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s2c2a6_it.htm
[3] ibidem, n. 2338.
[4] Cfr. Cos’hanno in comune il sesso nel matrimonio e la Santa Messa?, in Aleteia, del 23.6.2015, https://it.aleteia.org/2015/06/23/coshanno-in-comune-il-sesso-nel-matrimonio-e-la-santa-messa/
[5] A. D’AVENIA, Resisti, cuore. L’odissea e l’arte di essere mortali, Milano, Mondadori Libri S.p.a., 2023, p. 219.
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