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Si scrive Francesco, si legge Gesù

Ecologista, pacifista, pauperista. Sono solo alcune delle parole che si trovano spesso accostate a San Francesco d’Assisi, specialmente nei salotti buoni della tv, sui giornali che cercano di attirare lettori con titoli ad effetto, ma anche presso parte dell’opinione comune.

E quindi l’illustre cittadino di Assisi, vissuto a cavallo tra il XII ed il XIII secolo, sarebbe in realtà molto moderno, impegnato con alcune delle battaglie che caratterizzano il nostro tempo. 

Il suo messaggio sarebbe quindi incentrato sulla pace, sul rispetto dell’ambiente e su una grande attenzione ai poveri. E poco, pochissimo altro.

Lungi dal voler disprezzare giuste iniziative per la salvaguardia del creato, per la ricerca sincera della pace o per l’attenzione ai poveri, credo che limitare la figura di Francesco a questi ambiti, anzi, tagliarne un collante fondamentale, faccia smarrire la comprensione più profonda della sua esistenza.

Francesco ha vissuto in maniera “unificata” tutte le dimensioni della sua esistenza, e ha amato sì tutte le creature (i poveri, gli animali, tutte le creature) ma perché dietro tutto quello che i suoi occhi hanno potuto contemplare e dietro ciò che le sue orecchie hanno potuto udire c’era, chiaramente, una persona: Gesù Cristo. È alla luce di Cristo, mettendo le lenti del Vangelo, che la vita di Francesco assume un significato profondo, illuminante, e direi, vero; solo anteponendo a tutto il suo agire, pensare e parlare Cristo si può davvero comprendere la grandezza di questo santo. È Gesù il collante che unifica la vita di Francesco, come di Chiara, sua concittadina, e di tutti i santi che hanno speso la vita per il Vangelo.

Pensiamoci un attimo: abbandonare una vita agiata, usare un rozzo saio come unico indumento, dormire su una pietra, condannare il proprio corpo al freddo e alla fame, baciare e servire i lebbrosi, bè… all’apparenza potrebbero sembrare azioni folli, o incomprensibili. Una semplice ideologia, seppur la più alta e nobile di questo mondo, difficilmente sarebbe in grado di trasformare così tanto qualcuno. 

Francesco sarebbe un’estremista, o qualcuno direbbe anche peggio… Umanamente, se ci pensiamo, è estremamente difficile accettare e abbracciare con gioia la povertà più estrema, il vivere in rifugi di fortuna, affrontando anche il rigido inverno umbro, il servizio a delle persone che emanano odori oggettivamente nauseanti, le privazioni nel sonno o nel cibo. È anzi impossibile.

Ed è proprio per uscire da questa impossibilità di comprendere questi gesti che dobbiamo usare il “dizionario” che ci spiega il perché di tutto questo: Francesco ha vissuto cose grandissime usando come unica bussola per la propria vita il Vangelo. Alla lettera. Senza commento.

In esso ha trovato il senso dell’amore alla povertà, vista non come mondo ideale in cui ci si distacca dai beni o come superiore condizione morale, ma come sequela di Cristo povero; da qui dunque le privazioni, il freddo, la fame… tutto per imitare Cristo, che non aveva dove posare il capo e che per predicare e guarire le genti dimenticava persino di mangiare. È nel Vangelo che trova senso il suo amore per i poveri: è nel rinunciare a tutto per avere in eredità, già da questa terra, il Regno di Dio, che Francesco lascia tutto e serve chiunque incontri sul proprio cammino. È nell’amore a Cristo sofferente (così come sarà poi diversi secoli dopo per una suora albanese, trapiantata in India) che trova senso il bacio al lebbroso, punto di svolta della sua conversione, e l’inizio del servizio a coloro i quali erano letteralmente esclusi e scartati dalla società.

È per ringraziare il Padre per ogni elemento della creazione che Francesco ama ogni singola creatura, ed arriva a comporre il celebre “Cantico delle Creature”, che comunemente viene menzionato come l’albore della letteratura italiana, oltre che come lode a Dio per il creato. 

Francesco non ama nulla che non sia stato già amato da Cristo, e non fa nulla che possa andare contro la verità del Vangelo.

Francesco non inizia la sua vita in maniera così radicale: è un giovane “normale”, dedito alla ricerca della gloria e della fama, del divertimento e del successo. 

Cerca di affermarsi in guerra, ma una lunga prigionia pregiudica questo sogno, ed anzi, apre un squarcio inaspettato sul suo avvenire.

L’incontro con Cristo, vivo e vero, cambia completamente la sua vita: il giovane che cercava la gloria del mondo servendo i potenti di questa terra diviene l’uomo che brama la gloria di un solo Signore, aspirando alle più aspre sofferenze per ottenere la corona di gloria nel Regno eterno.

Tutta la vita di Francesco è un tentativo di assomigliare sempre di più a Gesù. In tutto. Senza riserve. E negli ultimi anni della sua vita questo tentativo di imitazione perfetta sarà “certificato” in maniera inequivocabile con il dono, grande e misterioso, delle stigmate, le stesse ferite di Gesù Crocifisso.

La creatura, che si è spogliata di tutto per rivestirsi di Gesù, riceve una specie di sigillo sul suo itinerario terreno, un segno che quanto sperato e ricercato, e cioè seguire Cristo, è stato in realtà raggiunto.

Nei fioretti di San Francesco, le storie che raccontano gli episodi della sua vita, tutto parla di umiltà, di sacrificio, di amore vero per i suoi frati, di amore per chiunque, ricco o povero, credente o no, incrociasse il suo cammino. Come il suo Gesù, che avvicinava tutti senza erigere steccati, Francesco tentò di farsi prossimo a tutti, predicando con l’esempio prima e con le parole poi, l’amore del Padre e la bellezza della vita cristiana. Non mancano episodi di buio interiore, di difficoltà: la fede non rende supereroi, né fa evitare dubbi e momenti di scoramento. Eppure, come Cristo nel Getsemani o sulla croce, anche Francesco affida, in quei momenti, tutto se stesso al Padre, certo che il Suo amore lo guiderà.

Nell’avvicinarmi a questa festa, leggendo in questi giorni delle riflessioni sul santo, mi sono accorto di una cosa: quanto Francesco fosse immerso in Cristo, e quanto questo lo abbia reso bello; una fede bella, una speranza bella, una carità bella, una mansuetudine bella, un bel tratto nel parlare, nel consigliare e nel trattare con i suoi frati o con le persone del suo tempo, una grande prontezza al sacrificio, alla penitenza, ma anche un grande amore alla preghiera, al dialogo, cioè, con una persona concreta, reale. È questo, a mio parere, quello che ha fatto la differenza nella vita di quello che poi è divenuto il patrono d’Italia: essere un uomo di preghiera, non riempendosi la bocca di tante orazioni, ma mettendo tutto se stesso in quel dialogo anche semplice[1], per trovare dentro questo l’amore che trasforma, risana e santifica.

Ecco perchè dicevo all’inizio che Francesco non è l’ecologista, o il pacifista o il pauperista: Francesco diviene, “semplicemente”, “un altro Cristo”, ed è in forza di questo agisce in tutti gli ambiti della sua vita.

Non si può slegare Francesco da Gesù. Né, del resto, lui lo vorrebbe. Si perderebbe, infatti, il motivo unificante di tutta la vita di un uomo che, otto secoli dopo essere vissuto, ci sa ancora indicare la strada del Vangelo come via di felicità. 

Anche noi possiamo compiere dei passi nella direzione che Francesco ha tracciato.

Come possiamo farlo?

Attraverso una vita di preghiera forte, robusta, in cui il Vangelo diviene il metro con il quale misurare i pensieri, le parole e le azioni, e in cui l’amico più vero e profondo rimane sempre e comunque Gesù; Gesù persona e non personaggio, con il quale dialogare, dal quale lasciarsi cambiare, guarire, arricchire.

Trascorrere del tempo con Lui, imparare a pensare come Lui, a desiderare quello che desidera Lui, a parlare come parlerebbe Lui.

Così anche noi ci accorgeremo di poter fare cose grandi, magari impensabili prima.

Anche noi, così, potremo diventare nel nostro piccolo “altri Cristi”. 

Francesco Simone


[1] Si racconta che una notte, in viaggio, San Francesco abbia “sfidato” un frate ad una gara di preghiera: avrebbe vinto chi avesse detto, fino all’alba, il maggior numero di “Padre Nostro”. Al mattino il frate, timoroso nel confronto con un così grande santo, dichiarò un po’ deluso di averne pregati solo qualche decina; Francesco, invece, confessò di non averne pregati nessuno, perchè rapito d’amore e di commozione alla prima parola, cioè, “Padre”. Su quella, infatti, meditò tutta la notte.

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