Le indulgenze: highway to Paradise
L’uomo è una creatura meravigliosa, che Dio ha pensato come vertice della creazione: a lui ha donato il suo soffio vitale, a lui ha affidato la cura del creato, a lui donato l’intelligenza e l’anima, perché fosse in grado di comprendere il suo amore e di vivere unito a Lui, fino al raggiungimento della piena unione.
Purtroppo, come sappiamo bene, l’uomo ha rovinato parzialmente questo progetto con il peccato originale, e da quel momento convivono in esso bene e male, desideri alti e istinti bassi, che portano la persona a “mancare il bersaglio”[1], ad allontanarsi da quel progetto di felicità che Dio ha pensato. Con il peccato, l’uomo genera una frattura, una frattura multipla: l’uomo si allontana da Dio, da sé e dagli altri.
Se l’uomo è chiamato alla santità, ed è fatto per essa, andare contro la santità genera una divisione innanzitutto con Dio, il Santo per definizione, ma genera anche una divisione in se stessi, perché la santità che c’è in noi si ritrova ad essere sporcata e l’anima è come divisa in due; infine, e questo si vede soprattutto nei peccati contro gli altri, ci allontaniamo anche fisicamente dal prossimo quando chiudiamo il nostro cuore a lui, con la rabbia, il rancore, la violenza e la sopraffazione.
Il peccato, insomma, è un gran casino.
Dio, però, ha sempre una soluzione ai nostri problemi (non a caso è l’Onnipotente), e ha escogitato un progetto meraviglioso per salvare l’uomo dai suoi stessi errori: ha mandato il suo Figlio, Gesù, per farsi carico di tutti i peccati degli uomini, di ogni epoca, e inchiodarli, una volta per tutte, sulla croce; se prima l’uomo non poteva colmare quella divisione interna ed esterna che il peccato generava, adesso, letteralmente “grazie a Dio”, può farlo, se unito a Gesù.
La porta del cielo è di nuovo aperta, e l’uomo può di nuovo accostarsi a Dio e vivere in comunione con lui. Certo, sappiamo che se il battesimo cancella il peccato originale[2], ci sono i peccati “quotidiani”, quelli di tutti i giorni: il battesimo cancella il peccato, ma gli effetti del peccato, cioè il fascino per il male, la debolezza, il disordine nei confronti delle bellezze del mondo (mangiare, ad esempio, non è peccato, anzi, risponde ad un bisogno essenziale, cioè quello di nutrirsi per la sopravvivenza: abbuffarsi è un peccato perché il cibo non ci serve più per nutrirci ma diventa un idolo, di cui godere in maniera sfrenata), rimangono. E dunque abbiamo bisogno spesso di ricorrere al sacramento della confessione, grazie al quale torniamo ad essere in comunione con Dio: il peccato è stato dimenticato da Lui, che ha guarito la nostra ferita (la frattura multipla di cui parlavamo all’inizio) e ci permette di essere di nuovo in comunione con noi stessi, con gli altri e, appunto, con Lui.
Però… Le nostre azioni hanno sempre delle conseguenze, che vanno oltre il gesto in sé, sia in senso positivo che in senso negativo; per dirla come Massimo Decimo Meridio nel “Gladiatore”: “Ciò che facciamo in vita riecheggia per l’eternità”. E non solo, le nostre azioni hanno delle conseguenze reali ovviamente anche nella nostra vita qui sulla terra.
Nel peccato ci sono due tempi, due momenti in cui si può dispiegare: il primo è quello istantaneo, il secondo è quello continuato. Mi spiego meglio.
Sono arrabbiato con mia sorella e, per vendicarmi, decido di rompere un oggetto a cui lei tiene molto. Lì per lì sono contento, poi però, vedendo le sue lacrime e comprendendo il mio errore, le chiedo scusa… Vedendomi sinceramente pentito, lei mi perdona, e tra di noi torna l’armonia.
L’oggetto, però, resta infranto, e nonostante il perdono di mia sorella, gli effetti della mia azione negativa rimangono. Mia mamma, quindi, per quella azione decide di togliermi il cellulare per una settimana. Quella è la mia “pena temporale”.
Oppure, pensiamo ad un assassino: uccide un uomo e, giustamente, va in carcere. Lì ha tempo e modo per capire la gravità del suo gesto, e può chiedere perdono alla famiglia della sua vittima.
Lui ha compreso di aver sbagliato, e la “colpa” si può dire in qualche modo cancellata, ma permangono gli effetti negativi: l’uomo morto non ritornerà dai suoi cari, e la pena in carcere dovrà essere scontata in tutta la sua interezza.
Ecco, il peccato funziona in un modo simile: l’azione negativa si chiama “colpa”, mentre gli effetti che il male genera, e che in qualche modo vanno pagati, si chiamano “pena”.
La colpa, quindi, è quella che viene eliminata con la confessione (siamo pentiti, Dio ci perdona sempre, nonostante tutto il male che abbiamo compiuto), mentre la pena rimane: il mio peccato ha generato una frattura, e questa ha un costo. La pena ha, quindi, lo scopo di riparare, di rimediare all’errore: non è desiderio di vendetta (la colpa è stata già perdonata) ma giusta riparazione al danno fatto.
Faccio un ultimo esempio: se io imbratto i muri della mia scuola, i docenti o il preside mi convocano e chiedono spiegazioni; formulando le mie scuse comprendo di aver sbagliato, ma il muro rimane sporco… Per rimediare completamente al mio danno, mi viene ingiunto di aiutare per qualche giorno a rimuovere i miei “murales”: solo al termine della pulizia il mio gesto sarà completamente azzerato. E, sicuramente, mi sentirò meglio anche io, perché il sacrificio per una giusta causa dà sempre una intrinseca soddisfazione e sensazione di giustizia.
Sì, l’uomo è fatto per la santità e anche per la giustizia: è per questo che, anche quando pecchiamo, non siamo felici… Sappiamo di aver sbagliato, e anche se forse solo inconsciamente, sappiamo di aver fatto una cosa sbagliata, “ingiusta”.
Dunque, ad un errore, ad un’azione negativa, corrisponde sempre una “pena”, una riparazione.
È per questo che la dottrina cristiana, sulle parole di Gesù, ha sviluppato l’idea del Purgatorio[3]: è il luogo in cui l’anima andrà nel caso in cui non sia completamente pura, non sia cioè totalmente piena dell’amore di Dio. Il Purgatorio è un luogo di misericordia, è un po’ come un tempo supplementare che il Signore concede a chi non è ancora totalmente distaccato dal peccato, e necessita di tempo (per le nostre categorie umane si parla di tempo, ma nell’eternità il tempo non esiste) per giungere a perfezione ed entrare in Paradiso, nella piena comunione con Lui.
È il luogo, dunque, dove essere purificati, e pagare la pena per le colpe da cui non ci siamo perfettamente purificati sulla Terra.
Questo può accadere dopo la nostra morte... ma prima? Si può fare qualcosa?
La buona notizia è che, come al solito, Dio apre strade che sembravano chiuse, e fa sì che noi possiamo avere un rimedio anche a questo.
Possiamo, già su questa terra, emendarci pienamente dai nostri peccati, e saldare quel conto che apriamo con il peccato: possiamo farlo attraverso delle riparazioni personali e volontarie (ad esempio con dei piccoli sacrifici o rinunce) e possiamo anche farlo attraverso una forma assolutamente creativa dell’amore di Dio: parliamo delle indulgenze, ed in particolare dell’indulgenza plenaria.
Indulgenza plenaria significa “perdono totale”, cancellazione totale di qualunque pena che derivi dal peccato. Non dobbiamo aspettare il Purgatorio per purificarci completamente da ogni scoria del nostro peccato! Dio ha pensato a tutto, ha pensato anche ad un modo che possiamo mettere in pratica qui ed ora. E dato che Lui è il Dio dell’amore e della gratuità, anche questa volta ci precede. Immaginiamo un grande scrigno: in esso ci sono dei tesori incalcolabili, che mai si esauriscono. Questo tesoro è costituito innanzitutto dai meriti di Gesù, che donò la sua vita per noi; poi ci sono i meriti di Maria, la madre di Gesù; ed infine ci sono i meriti di tutti i santi di ogni epoca, dai più conosciuti ai meno noti. Questo scrigno è il tesoro che la Chiesa conserva ed offre ai suoi figli, come madre amorevole. Come al solito, noi dobbiamo fare solamente il primo passo, andare cioè ad aprire quello scrigno; il resto lo fa Dio.
E come aprire quello scrigno? Con azioni che possiamo fare ogni giorno, azioni semplici ma di grandissima importanza.
Per le indulgenza ci sono delle condizioni che devono essere rispettate:
-la confessione;
-la Comunione;
-la preghiera per il Papa;
-il distacco dal desiderio di peccare, anche per quanto riguarda i peccati veniali, cioè quelli più piccoli;
-un’opera in particolare.
Confessione e Comunione sono facilmente intuibili: la confessione, come abbiamo visto, cancella la colpa, ci restituisce la comunione con Dio; la Comunione, cioè ricevere Gesù, è la forma di unione con Lui più piena che possiamo avere sulla Terra.
La preghiera per il Papa è invece un segno di appartenenza, oltre che di carità: io amo Dio, che mi ha perdonato dai peccati, ma non amo solo Lui, amo anche la Chiesa, che Dio ha affidato al Papa; per questo prego per lui, chiunque esso sia, perchè appartengo alla Chiesa, corpo mistico di Cristo.
Riguardo alle opere, ce ne sono diverse; vediamone alcune.
L’indulgenza plenaria si può ricevere: con la benedizione solenne del Papa (A Natale, ad esempio, o a Pasqua); visitando una Chiesa in alcuni giorni stabiliti (pensiamo al 1-2 agosto, il c.d “Perdono di Assisi[4]”); con mezz’ora di Adorazione Eucaristica; con il Rosario pregato in maniera comunitaria, con la preghiera della Via Crucis; in alcune solennità, come quella di Pentecoste o del Corpus Domini; nell’anniversario del proprio Battesimo; oppure quando si partecipa a delle giornate di esercizi spirituali, e anche attraverso la lettura e la meditazione della Parola di Dio per almeno 30 minuti. Questi sono solo alcuni dei modi descritti dal “Manuale delle indulgenze[5]”, un testo normativo della Chiesa; altre sono legate ad occasioni particolari, e possono essere anche disposte dal Papa in particolari momenti. Una forma che c’era nell’antichità, ripresa dal mondo ebraico, e che permane tutt’ora, è quella del Giubileo, che ricorre ogni 25 anni.
Io personalmente sono rimasto sorpreso dalla grandezza dell’amore di Dio e dalla ricchezza delle indulgenza: attraverso dei gesti semplici, alcuni anche quotidiani (recitare il Rosario in forma comunitaria o fare Adorazione per 30 minuti sono azioni che alcuni fanno con molta naturalezza) il Signore ci concede una purificazione totale, piena, ci ridona quella veste bianca che indossammo nel giorno del nostro battesimo. Non è semplicemente uno sconto, è molto di più: è versare l’abbondanza del Suo amore nei nostri cuori, quando ci vede pentiti e desiderosi di unirci più pienamente a Lui. Come al solito, con Dio, noi facciamo un piccolo passo e Lui, innamorato follemente di noi, ci ripaga con il centuplo.
Se il peccato ci macchia, l’amore di Dio non aspetta altro che ridonarci splendore e bellezza; e questo anche attraverso gesti molto semplici, come quelli che abbiamo visto.
Sta a noi, allora, approfittare di questi tesori e aprire questo scrigno: è tutto gratis, offre l’amore di Dio.
Francesco Simone
[1] Il termine greco “amartìa”, traducibile con “peccato”, deriva dal verbo “amartàno”, che si può tradurre con “mancare il bersaglio”.
[2] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1213 e seguenti.
[3] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn.1030 e seguenti.
[4] Per maggiori informazioni: https://www.porziuncola.org/il-perdono-della-porziuncola.html.
[5] Per approfondire: https://www.vatican.va/roman_curia/tribunals/apost_penit/documents/rc_trib_appen_doc_20020826_enchiridion-indulgentiarum_lt.html.
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