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Dammi un brivido

La scorsa settimana abbiamo visto, attraverso la bella canzone di Ernia, quanto sia difficile ammettere le proprie paure ma anche quanta luce possiamo trovare, di fronte all’oscurità che ci circonda, se fissiamo lo sguardo su Cristo. Eppure la paura spesso non è l’emozione più brutta che sperimentiamo: a volte è la noia della routine quotidiana a spegnerci incredibilmente. E, prendendo spunto proprio da questo stato d’animo, oggi vorrei analizzare insieme a te il testo di un brano che mi ha accompagnato per un lungo periodo di vita. Era il lontano 2013 quando Guè Pequeno (Cosimo Fini), in collaborazione con Marracash (Fabio Rizzo), compose “Brivido”, una delle canzoni più ascoltate di tutta la discografia rap degli ultimi anni. Mi ricordo che, all’epoca, facevo il quarto superiore e, nonostante non mi mancasse nulla dal punto di vista materiale, cercavo qualcosa che andasse oltre il visibile, oltre l’oggettività. Cercavo un brivido, un’emozione che potesse sconvolgermi e dare senso alla mia vita.

In questa canzone, Guè si apre molto nei confronti dei suoi ascoltatori, già dal ritornello dove, come un’anafora, compare all’inizio di ogni verso l’espressione “Più di…”, alludendo a tutto ciò che aveva ma che non l’appagava. Ovviamente, secondo lo stile del rapper milanese, la materialità è al centro della sua discografia, una materialità che si palesa attraverso la ricerca di piaceri carnali e terreni. Infatti, come un’escalation emotiva, vediamo che parte dal cercare qualcosa in “più” della droga, dei concerti, dei rapporti con le donne, per arrivare ad un punto che mi ha sempre colpito quando dice, proprio alla fine del ritornello: “Più di questa libertà, più della stessa vita”. Tutta la sua strofa è intrisa di un dolore di fondo per non trovare appagamento a lungo termine in quello che vive. È emblematico che inizi con una frase d’impatto: “Sono infelice di professione / sogno che sono morto, il corpo in strada, la processione”. L’infelicità spesso è generata dal fatto che non riusciamo a dare un valore a quello che viviamo ma siamo sempre proiettati al futuro o verso ciò che ci manca. Oppure, semplicemente, siamo assuefatti dalle emozioni forti e, se qualche giornata passa senza aver provato nulla di memorabile, ecco che scatta l’ansia del fare o del vivere al massimo. Ce ne dà conferma lo stesso Guè quando esorta il suo ascoltatore: “Dammi tutto allo stato puro / più di un roseo futuro”. Non è la pace che gli dà pace ma è la gloria, l’essere ricordato.

Come ti dicevo, a 18 anni avevo questa canzone nella mia playlist quotidiana, l’ascoltavo ogni mattina prima di entrare a scuola perché sentivo che raccontasse molto di me. Non tanto sull’assunzione di alcol o di sostanze, quanto su quel senso d’inquietudine che copriva, come una patina, il mio cuore e mi faceva desiderare “più di” ciò che già avessi. Tutta la mia vita si riassumeva nei versi di Marracash, quando dice: “E non so chi tu pensi io sia / La realtà non è all’altezza della fantasia / Certe idee che mi accarezzano e che scaccio via / Un brivido che faccia breccia nella mia apatia”. Se vai su YouTube, ti rendi conto che il video ufficiale di questa canzone superi 82 milioni di visualizzazioni, come se risponda al malessere di tanti, soprattutto giovani che fanno fatica a trovare un senso. Ma, in una società assuefatta dall’appagamento dei sensi, dove si cerca sempre l’emozione forte, dove conta più apparire che essere, basta davvero un “brivido” per essere felici?

Sinceramente no. E te lo dico per esperienza personale. Ho cercato per tanto tempo quel brivido che potesse farmi dimenticare momentaneamente il piattume emotivo che vivevo o l’apatia generale ma, nonostante un piacere effimero e temporaneo, poi stavo peggio di prima. Fin quando ho fatto esperienza di Gesù. Detto così, sembra che avere fede ti renda immune dal dolore, dalla noia o dall’inquietudine di vivere alcuni momenti piatti, apparentemente senza senso, mentre casomai vedi i tuoi amici realizzarsi ed avere vite piene di luci e successi. Purtroppo non è così ma la fede ti aiuta a vedere con occhi nuovi e cuore nuovo ciò che sei e ciò che sei chiamato a vivere, anche quei momenti “no”. Il racconto di Elia nel Primo Libro dei Re (19, 9-13) è molto chiarificatore: “Entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco il Signore gli disse: «Che fai qui, Elia?». Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita». Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna”.

La presenza di Dio non si palesa nel fuoco, nel terremoto, nel vento impetuoso e gagliardo. Si manifesta nella brezza leggera, in quel tocco delicato che parla al nostro cuore. Quanto è fortunato colui che capisce questo e vive con semplicità. Noi ci riconosciamo figli amati non nella potenza o nella gloria, bensì nell’abbraccio di Dio Padre che ci sussurra all’orecchio ciò che ci edifica, come bambini educati con amore dai propri genitori. Non possiamo sperare di vivere sempre una vita spericolata perché tanto, prima o poi, dovremmo fare i conti con il silenzio e, di solito, chi non l’ affronta vuol dire che dentro ha ancora qualcosa da risolvere. Chi teme di restare solo, chi non riesce nemmeno per 10 minuti al giorno a fare completo silenzio, chi deve per forza uscire il sabato sera perché, altrimenti, inizia a sentirsi “vecchio”, chi vuole il “brivido” anche nella vita di fede, chiedendo sempre segni e prodigi e andando in crisi quando non trova appagamento alle sue richieste, non ha ancora fatto davvero esperienza di Gesù. Perché Gesù ci parla proprio quando non ce l’aspettiamo, ci chiama in disparte, forse permette che viviamo qualche periodo di smarrimento per ritrovare insieme a Lui la strada giusta. 

Come ti senti in questo momento? Sei alla ricerca del brivido? Non ti senti appagato dalla vita che vivi? Bene, non ti preoccupare: è assolutamente normale sentirsi un po’ persi. L’importante, però, quando siamo scarichi, è capire dove ricaricarsi. Perché, se ad una macchina a diesel, metti la benzina, quella si ferma ed avrà bisogno dell’intervento di un meccanico per tornare a funzionare. Non tutto ci fa bene. Ognuno di noi ha una fonte sicura di rifornimento dalla quale può attingere più del brivido: è la preghiera attraverso la quale, ricolmati di Spirito Santo, possiamo vivere con la certezza che “Il Signore è mio pastore: non manco di nulla / Sui pascoli erbosi mi fa riposare / Ad acque tranquille mi conduce” (Salmo 22). Nella semplicità del tuo lavoro quotidiano, nell’apparente monotonia di ogni giorno, potrai scoprire quanto tu possa essere prezioso. Prenditi ogni mattina, prima di uscire di casa, qualche minuto per stare con Gesù, aiutandoti nella preghiera proprio con questo salmo. Non avrai più brividi di freddo ma sarai fonte di calore inestinguibile!

Emanuele Di Nardo

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