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Una giornata per ricordare

Oggi ricorre quella che tutti noi conosciamo come Giornata della Memoria, una giornata istituita per “conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere” (Legge 20 Luglio 2000, n.211). È una giornata che arriva puntuale, di anno in anno, per farci ricordare delle sofferenze di un popolo, ma ancor di più, per ricordarci il male che siamo capaci di fare. 

La Giornata della Memoria, però, serve anche come monito per ricordare le conseguenze del male che siamo capaci di compiere. In psicologia si parla, a questo proposito, di trauma intergenerazionale, un concetto elaborato intorno al 1966 quando gli psicologi hanno iniziato a studiare i figli e i nipoti delle persone sopravvissute all’Olocausto. Uno studio del 1988 ha scoperto che i nipoti dei sopravvissuti all’Olocausto erano più numerosi, per circa il 300%, nei ricorsi alle cure psichiatriche. I ricercatori hanno teorizzato che gli effetti del trauma possono essere trasferiti da una generazione all’altra. Detto in altri termini, questo studio mostra che le conseguenze del male che provochiamo possono essere più ampie e profonde di quello che pensiamo, al punto di colpire anche altre persone nel tempo. 

La Giornata della Memoria, in realtà, può essere anche un modo per aiutarci a comprendere l’indifferenza, guardando alle nazioni limitrofe della Germania che, pur sapendo benissimo cosa stava accadendo, hanno preferito guardare dall’altro lato fin quando non è stato possibile fare altrimenti; fin quando non sono stati toccati i loro interessi personali. Che in realtà, a volte, è simile al nostro modo di rapportarci ai problemi altrui: cerchiamo di guardare altrove finché la cosa non ci toccano direttamente.

È vero, nessuno di noi ha certo contribuito personalmente a quel genocidio, né ad oggi ne conduce uno; ma sterminare un popolo non è l’unica forma di male che abbiamo la capacità di compiere, ne è solo l’apice. 

Il 27 Gennaio è stato scelto come data perché, esattamente in questa data, nel 1945, venivano abbattuti i cancelli di Auschwitz. Quel giorno, però, da quei cancelli usciva un uomo, di nome Viktor Frankl, un neurologo e psichiatra austriaco ebreo, che era stato deportato. Alla sua uscita dai campi di concentramento, viene a scoprire che tutta la sua famiglia è morta. Dunque, si chiude in casa per 9 giorni e 9 notti, senza mangiare, bere o dormire, per scrivere un libro che racchiuderà il suo approccio psicoterapeutico: la logoterapia. Questo libro, ad oggi, si chiama Uno Psicologo nei Lager, di cui consiglio assolutamente la lettura e in esso racconta direttamente la sua esperienza nei campi di concentramento. Ci racconta che lui ha semplicemente cercato di sopravvivere come tutti, ma si è reso conto anche del significato della sofferenza e della capacità dell’amore di muovere le persone. 

Lui stesso affermerà: “Lo stesso uomo che ha creato i campi di concentramento, è lo stesso uomo che ci è entrato a testa alta recitando il Padre Nostro”. 

Ed ecco che, grazie a Frankl, possiamo avere un altro sguardo per questa giornata. Perché, infatti, la Giornata della Memoria, ha anche la capacità di ricordarci il bene che siamo capaci di fare anche nelle situazioni più critiche. Pensiamo a quanti eroi che hanno dato la vita, durante il periodo nazista, per salvare delle persone dai campi di concentramento. 

Possiamo pensare, ad esempio, Giorgio Perlasca, un commerciante italiano che nell’inverno del 1944, fingendosi console generale spagnolo, salvò la vita di oltre cinquemila ebrei ungheresi; ancora a San Massimiliano Maria Kolbe che si offrì volontario per morire di fame al posto di un uomo con famiglia; Carlo Angela, medico e antifascista piemontese (padre di Piero Angela e nonno di Alberto Angela), che nascose nella sua clinica di San Maurizio Canavese numerosi ebrei e antifascisti, facendoli passare per malati e la cui azione è rimasta sconosciuta per mezzo secolo; e con loro moltissimi altri. Li chiamano Giusti tra le Nazioni, persone che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita e senza interesse personale per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista della Shoah.

Allora, in questa Giornata della Memoria, possiamo approfittare certamente per ricordare le vittime della Shoah, ma possiamo anche approfittare di quel ricordo concentrandoci sul bene che, anche nelle situazioni più critiche possiamo fare. Perché, affinché il male non si verifichi, è necessario promuovere il bene. E per fare ciò, occorrono due requisiti: essere disposti a dare la vita, non nel senso di farsi uccidere, ma nel senso di essere disposti ad accettare di rinunciare a quelle che noi crediamo essere le nostre certezze e le nostre solidità per aiutare un’altra persona. E ancora, farlo con carità, cioè in maniera gratuita, senza chiedere nulla in cambio se non la spontaneità di donare. 

Non serve aspettare un’altra guerra mondiale per diventare degli eroi. Ma come ci ricorda Papa Francesco, in questo modo possiamo essere i “santi della porta accanto”. 

Quindi, oggi, ti invito a concentrarti su tutte le occasioni che hai di fare il bene, anche a rischio di sacrificare qualcosa, e di prendere l’iniziativa, di farlo spontaneamente. E, con le parole ultime di San Massimiliano Kolbe, ti accorgerai che “solo l’amore crea”.

Antonio Pio Facchino

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