Ottimismo o Speranza? Come approcciarsi alla vita
Ognuno di noi ha fondamentalmente un modo diverso di approcciarsi alla vita. Alcuni tendono a vedere il bicchiere mezzo pieno, altri mezzo vuoto, altri ancora a metà.
Comunemente li distinguiamo in ottimisti, pessimisti e realisti.
In psicologia l’ottimismo viene da alcuni anni studiato come fattore che influenza il benessere psicologico. In poche parole, chi è ottimista, sta tendenzialmente meglio a livello psicologico.
Quando parliamo di ottimismo, ci riferiamo in particolare a un orientamento generale verso il futuro in cui si crede che le cose buone saranno abbondanti e le cose cattive scarse (Scheier & Carver, 1992). Va da sé che definiamo una persona pessimista come una che crede che le cose cattive saranno abbondanti e quelle buone scarse.
Questa differenza di approccio alla vita può essere dovuta a molti fattori: esperienze difficili che abbiamo vissuto, delusioni, fallimenti nel caso del pessimismo che molte volte può essere un modo di proteggerci da possibili delusioni. Se già ci aspettiamo di essere delusi, o di fallire, soffriamo di meno se succede.
Al contrario, esperienze positive, soddisfazioni, fiducia in noi stessi e negli altri possono far si che abbiamo un atteggiamento ottimista. In questo caso, forse restiamo molto delusi se falliamo, ma probabilmente siamo anche capaci di rimetterci subito in carreggiata, nella convinzione che alla fine le cose si aggiusteranno.
E’ un po’ ironico pensare che in realtà è proprio il nostro atteggiamento, in molti casi, a determinare l’effettivo esito di ciò che ci succede. Come abbiamo già detto molte volte, parliamo della profezia che si autoavvera. Se ci approcciamo a una sfida con la convinzione di avere successo, le nostre probabilità di trionfo aumentano.
Eppure, molte volte nella vita, facciamo i conti con cose che non possiamo controllare, perché semplicemente, non dipendono da noi. Avere un atteggiamento ottimista chiaramente aiuta, ma molte volte ci rendiamo conto che non ci basta. Che forse le cose potrebbero andare male, o non sappiamo se andranno bene e l’esito non dipende da noi.
Ecco allora che subentra un altro tipo di esperienza: quello della speranza. Da “credo che le cose andranno bene”, cominciamo a dire “spero che le cose vadano bene”, intendendo implicitamente che non possiamo fare niente per condizionare l’esito degli eventi, se non sperare.
Ma cosa vuol dire sperare? La speranza, a livello teologico, viene definita come l’attesa certa della realizzazione delle promesse di Dio. Detto in altri termini, la speranza ha a che fare con il fatto che laddove non possiamo controllare gli eventi e il loro esito, questi comunque, in qualunque forma si presentino, sono un modo di Dio di operare. Vuol dire credere che laddove noi non possiamo fare niente, Qualcuno può, e quel Qualcuno agirà per il nostro bene.
Eppure, sempre in senso teologico, la speranza viene definita una virtù teologale, ovvero una virtù che viene da Dio, una capacità che solo Dio ci può dare. Sembra contraddittorio a ben guardare: solo Dio ci può dare la fiducia nel fatto che agirà per il nostro bene. Non è una cosa che siamo capaci di fare da soli. Possiamo essere capaci di credere che le cose si sistemeranno e che in generale ci saranno molte cose positive nella nostra vita, ma non possiamo credere da soli che quello che ci succede porta con sé una promessa di bene perché c’è un Padre che si prende cura di noi e che agirà per prendersi cura di noi.
Ma forse, non è una cosa così assurda. Prova a immaginare quando eri bambino o quando ancora adesso torni dalla tua famiglia. Ti svegli e c’è sempre la colazione in tavola senza che tu la prepari, i piatti sono sempre lavati senza che tu lo faccia, il letto è sempre rifatto anche se non sei stato tu ad occupartene, la dispensa è sempre piena anche se non hai fatto la spesa. Forse non vedi materialmente i tuoi genitori fare nessuna di queste cose, eppure loro sono li a farle, e da questo sai che si prendono cura di te. Perché, anche se non lo vedi direttamente, puoi farne esperienza in quello che succede nella tua vita.
Allo stesso modo, nel rapporto con Dio, forse puoi non vederlo materialmente nella tua vita quotidiana, ma puoi continuamente farne esperienza semplicemente imparando a vedere il modo che ha di prendersi cura di te. E da questo sai di essere amato. E da questa esperienza nasce la speranza. Perché, affinché crediamo che c’è qualcuno che si prende cura di noi anche se non lo vediamo, dobbiamo fare esperienza della sua cura. Ed ecco perché possiamo avere ottimismo ma non speranza da soli, perché la speranza viene solo da questa esperienza di cura e di amore.
In questa settimana allora, ti invito a coltivare la virtù della speranza, ovvero di iniziare a vedere il modo che ha Dio di prendersi cura di te nella tua vita e, nei momenti di difficoltà, di chiedere: “Padre, fammi fare esperienza che ti stai prendendo cura di me, anche se non lo vedo”.
Antonio Pio Facchino
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