Il lavoro, mezzo di santificazione
Un problema che affligge la nostra società è la disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Viviamo in una società in cui lo scopo finale è massimizzare i profitti e ridurre al minimo i costi, investire nella tecnologia con l’obiettivo di sostituire i lavoratori con le macchine.
Aveva profetizzato bene Hannah Arendt, politologa, storica e filosofa tedesca vissuta tra il 1906 e il 1975 quando disse: “Ci troviamo di fronte alla prospettiva di una società di lavoratori senza lavoro, privati cioè della sola attività rimasta loro. Certamente non potrebbe esserci niente di peggio’’.
La disoccupazione non è solo un male in senso economico perché priva il potenziale lavoratore del sostentamento quotidiano, ma è deleterio per la persona e per la società. La disoccupazione “vuol dire solitudine, dubbio interiore, disprezzo sociale e malattia’’[1].
Il lavoro, infatti, non è solo mezzo di guadagno, ma occasione per far fruttare i talenti che Dio ci ha donato; è strumento di servizio al prossimo e occasione che ci rende più simili a Dio creatore. Attraverso il nostro lavoro possiamo dare sfogo a tutta la nostra creatività, amare attraverso il nostro lavoro e lasciare Dio agire nella storia attraverso di noi per cambiare le sorti del mondo. Quanto più ci uniamo intimamente a Dio, quanto più cogliamo e realizziamo le ispirazioni che Dio ci comunica quotidianamente, ancor di più potremo accorgerci dei miracoli quotidiani che avvengono e osservare l’opera di Dio, che nel silenzio trasforma la nostra vita e quella dell’intera umanità. È sufficiente il nostro sì in totale, pieno ed effettivo abbandono a Dio per stravolgere le sorti dell’universo.
Rispondi sì a Dio oggi, alla chiamata che Lui ti sta facendo ora, in questo momento.
Rispondi il tuo “Eccomi, sia fatta la tua volontà’’ ogni giorno. Dio non delude!
Un noto informatico e imprenditore, scomparso prematuramente nel 2011, si rivolse agli studenti dell’Università di Stanford dicendo “Dovete trovare quello che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita, e l’unico modo per essere realmente soddisfatti sarà fare un gran bel lavoro. E l’unico modo per fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l’avete trovato, continuate a cerare’’ (Steve Jobs).
La chiave della felicità è l’amore. Solo se faremo tutto con amore, per amore, amando la nostra vita così imperfetta potremo davvero vivere felici.
Anche il lavoro ha bisogno di essere amato e abbiamo bisogno di sentirci amati dal nostro lavoro. Fate l’amore con il sapere! Lasciamoci coinvolgere da ciò che siamo chiamati a fare, viviamolo come occasione d’amore e non come dovere da espletare. Il nostro lavoro è strumento della nostra salvezza; è occasione di santificazione, tenendo sempre fermo l’obiettivo finale della nostra vita: tornare alla Casa del Padre.
È importante non lasciarci schiavizzare dal lavoro, non è il fine ultimo della nostra vita perché “se il lavoro fosse tutto, non ci sarebbe un senso della vita dei disabili, non ci sarebbe più per gli anziani e non ancora per i bambini’’ (Norbert Blum). È questa la deriva verso cui ci stiamo muovendo. L’ossessione della produttività, dell’efficacia, della massimizzazione del profitto è il fondamento della cultura dello scarto apertamente denunciata da Papa Francesco: “si considera l’essere umano in sé stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello «scarto» che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive […] Gli esclusi non sono «sfruttati» ma rifiuti, avanzi’’[2].
È importante, dunque, trovare un giusto equilibrio tra l’importanza del lavoro (inteso come occasione di autorealizzazione dell’essere umano, non solo in termini materiali, ma anche spirituali, ricordando che il lavoro è mezzo di santificazione per giungere all’incontro con Dio) e la dignità dell’essere umano connaturata in sé, a prescindere dalla sua produttività.
Un aiuto a contrastare il rischio di schiavizzazione del lavoro è il riposo. Dio stesso, nella Creazione, ha previsto un giorno di riposo. E questo non perché Dio fosse pigro, ma perché occorre a noi alzare lo sguardo verso la cima della montagna che stiamo scalando con la nostra vita. È importante sì, guardare dove porre il piede per il prossimo passo, ma occorre ogni tanto alzare lo sguardo per controllare che siamo sulla giusta direzione. La domenica è utile proprio per questo. Siamo chiamati a fermarci, a santificare le feste, a ricordarci che il fine ultimo della nostra vita è tornare a Dio. La domenica (a maggior ragione), ma ogni giorno, è importante dedicare del tempo a Dio attraverso la preghiera, la liturgia, le opere di carità.
Il lavoro non è una punizione. Nella Genesi, dopo che Adamo ed Eva si macchiarono del peccato originale, Dio non maledisse l’uomo (sua creatura amata), ma il peccato. Il frutto del peccato fu la fatica del lavoro. La maledizione quindi non è il lavoro, ma la fatica del lavoro[3].
Il lavoro è la risposta grata dell’uomo al dono prezioso della terra da parte di Dio. Quando gli essere umani svolgono il proprio lavoro, non solo producono il proprio sostentamento, ma contribuiscono allo sviluppo del mondo. In ciò la creatura può collaborare all’opera creatrice di Dio[4].
La dottrina della Chiesa riconosce il diritto alla proprietà come un diritto naturale, frutto del lavoro del singolo, ma ci ricorda che siamo amministratori dei beni di Dio. Tutto ciò che abbiamo, quindi, non è finalizzato al soddisfacimento dei nostri interessi egoistici, ma anche a quelli della collettività. E quanto più siamo generosi, più la Provvidenza si prenderà cura di noi. “Dio provvede. E se non provvede quando e come vorremmo, è perché è meglio per noi vivere il disagio in quel momento. Anche la provvisorietà è provvidenza. […] Dio è occupato e preoccupato per i suoi figli, e chi si è fidato di Lui, come abbiamo fatto noi, non è mai rimasto deluso’’[5].
La Chiesa ha a cuore la famiglia quale fondamento della società e riconosce la stretta correlazione che vi è tra il lavoro e la famiglia, in quanto il primo è sostentamento della seconda. Per tale motivo, la Chiesa ha da sempre manifestato grande attenzione alla tematica dei salari che devono essere in grado di garantire non solo il sostentamento materiale della famiglia, ma anche la partecipazione alla vita sociale. La Chiesa ha a cuore anche l’occupazione delle donne: “Le donne devono poter svolgere in ogni ambito della vita sociale un ruolo pari a quello degli uomini. Tuttavia, il presupposto di ciò è che si tenga conto della situazione specifica delle donne. In particolare, le donne incinte e le madri hanno bisogno di tutele particolari da parte dell’ordinamento giuridico e dell’intera società’’[6].
La Chiesa ricorda anche i migranti (a fini occupazionali). Essi devono essere accolti con amore perché sono persone e lavoratori al pari dei locali. Dio stesso ci fornisce delle indicazioni chiare sugli stranieri: “[Il Signore] ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero, perchè anche voi foste forestieri nelle terra d’Egitto’’ (Dt 10, 18-19).
Ringraziamo Dio per il dono del lavoro (se l’abbiamo), chiediamo l’intercessione di san Giuseppe per trovarlo (se non l’abbiamo) e chiediamo aiuto a Maria perché ci insegni a vivere il lavoro come occasione di santificazione, in totale abbandono a Dio.
Francesca Amico
[1] Docat. Che cosa fare? La dottrina sociale della Chiesa, Cinisiello Balsamo (Milano), San Paolo, p. 144.
[2] PAPA FRANCESCO, Esort. ap. Evangelii Gaudium, 2013, p. 53
[3] Docat. Che cosa fare? La dottrina sociale della Chiesa, Cinisiello Balsamo (Milano), San Paolo, p. 137.
[4] ibidem.
[5] MADRE ELVIRA, Gioia Piena, Cuneo, Buc, 2014, pp. 114-115.
[6] Docat. Che cosa fare? La dottrina sociale della Chiesa, Cinisiello Balsamo (Milano), San Paolo, p. 146.
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