Un gioco di sguardi che salva!
Tutta la nostra vita si fonda essenzialmente su due coordinate: orizzontalità e verticalità. Possiamo guardare l’orizzonte che si staglia davanti ai nostri occhi ma possiamo anche sollevare o abbassare lo sguardo per vedere meglio ciò che sfugge ad una vista monodimensionale. Tranquillo, questa non vuole essere una lezione di geometria o di fisica, anche perché alle superiori ero davvero una frana nelle discipline scientifiche. Che sia orizzontale o verticale, ciò che conta più di tutto, però, è il punto d’osservazione: il nostro sguardo. E il Natale appena trascorso me ne ha dato conferma.
Ti è mai capitato di vivere un momento davvero difficile, nel quale non vedevi altro che nebbia intorno a te fino a scoraggiarti e a perdere la speranza? A me è successo spesso in passato, specialmente quando, subito dopo la mia conversione, sperimentavo le prime prove e la mia fede, ancora acerba, non ancora faceva esperienza delle tentazioni. Mi ricordo che avevo sempre lo sguardo basso, rassegnato, come se sulle spalle portassi un macigno che m’impediva d’alzare gli occhi verso Dio e, anzi, mi costringeva ad osservare solo me stesso ed i miei limiti. Una sera fisicamente ero distrutto: seduto su una sedia, un po’ in disparte, mi vergognavo anche d’intercettare lo sguardo della mia fidanzata e dei miei amici perché non sapevo cosa dire. Fin quando venne una persona a parlarmi. Senza che gli avessi detto nulla, comprese il mio malessere e sai cosa fece? Si sedette a terra, di fronte a me, in modo che i miei occhi potessero vederla, essendo più in basso di me. Potremmo dire, etimologicamente parlando, che si umiliò ovvero che si abbassò fino a terra, si fece più piccola di me pur di farmi sentire la sua vicinanza. Da lì iniziai a parlare e a condividerle tutto finché, piano piano, riuscii a risollevarmi e a guardare con rinnovata speranza a Dio.
Gesù fa questo ogni giorno, nella vita di ciascuno di noi. La sua stessa vita è il tentativo di riportarci al Padre. Facci caso: Gesù arriva al mondo come un bambino fragile ed indifeso, si fa più piccolo di noi per poter entrare nel nostro cuore. Fisicamente, per vederlo, dobbiamo abbassare lo sguardo ma, come accade in ogni famiglia, anche le preoccupazioni più pesanti svaniscono in un attimo quando incrociamo gli occhi dolci e puri di un neonato. E Cristo ha voluto questo, per prepararci. Come se ti dicesse: “Non ti preoccupare, non ti comando di alzare lo sguardo al cielo ma mi abbasso io per renderti meno difficile il compito. Non voglio che tu sia costretto a credere ma sono io che cerco te”. Crescendo, poi, Gesù si fa uomo, vive una lunga parte della sua vita facendo cose normali: lavoro, amicizie, preghiera, famiglia. I passanti alla sua bottega l’avranno visto dritto negli occhi e avranno percepito una luce particolare in essi. Però si trattava di un rapporto “alla pari”, semplicemente orizzontale. Ma Cristo è venuto per aiutarci a sollevare lo sguardo filiale verso Dio Padre, avendo sempre cura dei fratelli. Fin quando il mondo intero fu “costretto” a sollevare lo sguardo mentre veniva appeso ad una Croce.
Ecco la vita del cristiano che nasce con uno sguardo rivolto verso il basso per adorare un Bambino e termina con gli occhi al cielo ad osservare il Figlio dell’uomo che dona la propria vita per lui. Nel frattempo, però, la vita del cristiano è fatta di orizzontalità, di relazioni, incontri, scontri, testimonianze, appuntamenti. Un po’ come i Magi i quali fanno il viaggio opposto: partono dall’alto vedendo una stella e si mettono in cammino, con lo sguardo sempre rivolto al cielo ma, entrati nella mangiatoia, fanno esperienza di fede e si prostrano in adorazione. Gesù ci ha lasciato come promemoria proprio il dono della croce: non può esserci fede senza carità, non può esserci un rapporto verticale tra me e Dio senza un rapporto orizzontale con gli altri. Perché, se dovesse prevalere il fattore orizzontale, la mia vita sarebbe una semplice assistenza ai problemi sociali del mondo e, se a prevalere fosse quello verticale, verrebbe meno il concetto di chiesa, con la fede che si limita ad una relazione intimistica e, in parte, poco proficua con Dio. Proprio la croce ci ricorda, con le sue assi di legno incrociate, questo.
Ma oggi, che torniamo alla vita “normale” dopo la fine delle feste, portiamo nel cuore una certezza: Gesù è quel bambino che è nato nella mia vita. Ogni nascita porta gioia e rinnovamento ma, ancor di più, quella di Gesù dona anche salvezza nelle piccole grandi sfide quotidiane. Lo sguardo di un bambino sa toccare le corde profonde del nostro cuore, la sua voce dolce e chiara ci commuove sempre. Oggi t’invito a non sentirti solo: sembra paradossale, come se uno possa decidere se sentirsi solo o meno. In realtà non lo sei, ma spetta a te deciderlo. Così come io, quella sera, non ero solo ma non volevo vedere chi avevo accanto, tu puoi chiedere a Gesù di vederlo, anche se forse non hai la forza per alzare lo sguardo. Noi possiamo amare in tanti modi ma tutto parte dagli occhi: un uomo s’innamora di una donna prima di tutto vedendola, un bambino impara a conoscere il mondo scrutandolo, conosciamo meglio una storia leggendo un libro o vedendo un film. Come secondo consiglio, collegato al primo, scruta ciò che ti circonda e prova a cogliere segni d’amore, anche nelle cose più semplici: due fidanzati che passeggiano mano per la mano, una nonna con il suo nipotino, un amico che ti cerca per sapere come stai, un saluto sorridente di uno sconosciuto alle Poste. Tutto può essere utile: uno sguardo può cambiarti la vita!
Emanuele Di Nardo
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