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Adesso che si fa?

La scorsa settimana c’è stato un evento importante nella mia vita: ho conseguito la Laurea Magistrale a Roma, finendo, di fatto, il mio percorso universitario. Come un vero rito di passaggio, sono passato dall’essere studente all’essere un uomo alla ricerca di un’occupazione lavorativa. È stato bellissimo poter discutere la mia tesi dal titolo “La Chiesa come madre: il valore della comunità cristiana in Cipriano di Cartagine” (piccolo spoiler: nelle prossime settimane uscirà qualcosa su di essa proprio su Parusia!), davanti ad una commissione composta da docenti di grande spessore accademico. Ma, è stato ancora più bello testimoniare la fede attraverso lo studio della storia, condividendo i risultati della mia ricerca con la luce di Cristo.

Dopo i festeggiamenti con amici e parenti, però, metabolizzata l’emozione dell’esame, in me è esplosa all’improvviso una domanda che non mi ero mai posto seriamente e che sapevo che sarebbe arrivata prima o poi: “Emanuele, adesso che si fa?”. Fin quando sono gli altri a chiederti quali siano i tuoi progetti di vita a stretto giro, è facile sviare l’argomento: il problema vero è quando sei tu stesso ad interrogarti, cercando una risposta nel tuo cuore, proprio dove ci sono solo domande. Non ti nego che, negli ultimi mesi, avevo pensato seriamente a cosa fare della mia vita dopo la laurea: ero sicuro, sentivo che nulla potesse distogliere la mia attenzione dall’obiettivo finale. Eppure, sono crollato sotto il peso dell’incertezza. Ho iniziato a vivere con grande inquietudine, come se dovessi trovare la soluzione a questo rebus in poche ore, al massimo giorni, dimenticandomi invece di una grande lezione: i tempi di Dio non sono quelli degli uomini.

La cosa più esilarante è che Dio Padre ci prepara sempre ad una battaglia, dicendoci esattamente cosa fare al momento dello scontro: pochi giorni prima, infatti, il mio direttore spirituale, rispondendo ad un mio dubbio circa l’utilizzo proficuo del tempo, mi ha detto che “noi cristiani non siamo chiamati a seguire il tempo cronologico, bensì quello kairologico”. Per essere più semplici, la bontà della nostra vita non è dettata dalla somma delle azioni o degli eventi compiuti nell’arco di 70/80 anni di media, bensì dalla profondità raggiunta nella relazione con Cristo in ogni giorno concessoci. Quando don Domenico mi aveva condiviso questa luce, ero rimasto folgorato dalla sua bellezza ma non la comprendevo fino in fondo, come se non stesse parlando direttamente a me. Invece, come un Padre, Dio mi stava già istruendo su una difficoltà che avrei vissuto di lì a breve, invitandomi ad avere pace e fiducia in Lui. 

In Parusia abbiamo Antonio ed Ilaria che sono psicologici, per cui conoscono la natura della nostra mente molto meglio di me, però, basandomi su un piano empirico, frutto di riflessione sulle mie esperienze di vita, ho compreso in questo tempo quanto sia bello ma difficile vivere secondo un criterio kairologico, cioè vivendo alla maniera di Cristo. Fin quando ero studente, sapevo di avere scadenze da rispettare, avevo un piano di studio fitto ed elaborato, per cui il mio unico dovere era quello di rispettarlo, sapendo già cosa avrei vissuto nei mesi avvenire. Invece, senza un impegno stabile e senza un lavoro continuativo, ecco che scatta l’ansia del fare, del non perdere tempo, del non restare a piedi mentre gli altri sembrano viaggiare a tremila. Il Signore non si manifesta nei successi ma nell’amore che spendiamo per essere sempre più uomini in Lui. La gloria di Dio è l’uomo vivente ovvero un uomo che vive, che scruta il suo cuore, che si mette alla ricerca, che non riposa fin quando non trova ciò che appaghi la sua brama di felicità e pienezza. Però, è molto più difficile riuscirci quando ci mancano effettivamente degli strumenti: senza obiettivi concreti e ravvicinati, il nostro sforzo potrebbe dissiparsi lasciandoci vagare in un mare pieno di opportunità valide ma non buone per noi. Come se, da sportivi, dovessimo allenarci a vincere un campionato senza passare dai successi nelle singole partite: come può un calciatore allenarsi bene se non riesce a giocare una partita vera? 

Alla domande “Adesso che si fa?”, ho trovato una risposta che può sembrare banale ma che a me aiuta sempre quando mi smarrisco: “Vai da tuo Padre, Lui conosce la via!”. Tornare al Padre vuol dire che ci rimettiamo alla sua saggezza e al suo consiglio come figli umili e docili. “Appartiene a Dio ed è di Dio tutto ciò che riusciamo a fare” dice Cipriano. Tutto appartiene a Dio, anche un momento di debolezza e smarrimento: perdiamoci per ritrovarci in Lui!

Emanuele Di Nardo

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