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Thor – fai ciò che sei nato per vivere

Se parliamo di Avengers, non possiamo non parlare di Thor, uno dei supereroi più amati e ammirati. Un dio, fisico scultoreo, potente, forte, audace e temerario. Ancora una volta, un supereroe con cui vorremmo identificarci. Chi non vorrebbe essere Thor?

E anche questo personaggio può insegnarci qualcosa a proposito della nostra vita. Perché, difatti, Thor, oltre alle sue grandi avventure e eroismi, può aiutarci a rispondere ad una domanda molto importante per la nostra vita: per cosa vivi la tua vita?

Thor, il Dio del Tuono, non ha mai avuto particolare bisogno di farsi questa domanda. L’indirizzo della sua vita era molto chiaro: in quanto primo figlio di Odino, era predestinato ad essere il futuro re di Asgard.

Una strada lineare, semplice, come può essere la nostra. Magari siamo figli di avvocati, di medici, i nostri genitori hanno un’attività commerciale o comunque svolgono una determinata professione, percorrono una via che anche noi possiamo sentirci predestinati ad intraprendere. Mio padre è medico quindi io rileverò il suo studio da grande, oppure un giorno gestirò gli affari dell’attività di famiglia. La via sembra molto limpida e lineare, eppure a volte possiamo trovarci a chiederci se siamo davvero sulla strada giusta, se davvero questo è quello che vogliamo fare. O, sul fronte opposto, possiamo non domandarcelo proprio e percorrere questa strada per inerzia, senza vivere davvero. Thor fa parte di questa seconda categoria, e anzi, lui vuole davvero diventare re di Asgard, senza però comprendere appieno perché lo vuole e cosa vuol dire essere re di Asgard.

Forte del suo ruolo di principe, si dà alla pazza gioia con la consapevolezza che niente potrà togliergli quello che ha. E tante volte anche noi ci comportiamo allo stesso modo: dato che l’attività dei nostri genitori rimane (qualunque essa sia), anche noi ci sentiamo chiamati a fare ciò che vogliamo, perché nessuno può toglierci ciò che abbiamo, perché infondo non dipende da noi. Ma, c’è qualcuno che invece può toglierci quella certezza. Nel caso di Thor sarà suo padre Odino che, stanco delle azioni sconsiderate compiute dal figlio, lo esilia sulla terra, gli toglie il suo ruolo, i suoi poteri, e in ultimo, tutto ciò che è. E questo è lo stesso che può succedere anche a noi. Può essere nostro padre o nostra madre, o può essere Dio Padre. Un bel giorno, infatti, nella nostra vita può capitare un momento di crisi in cui quella strada, che sembrava chiara e ben delineata, ci viene a mancare. D’un tratto tutto perde quel senso limpido che aveva pochi giorni prima e noi ci troviamo persi, senza sapere più chi siamo. Sono momenti tipici della nostra vita, che lo psicologo Erik Erikson definisce stadi dell’identità o della dispersione, tipico dell’adolescenza che consiste nel capire chi siamo, trovando una definizione di noi, ma anche l’età adulta con la crisi generativitá/stagnazione, che consiste nel momento in cui ci chiediamo se ciò che facciamo apporta un reale beneficio, se stiamo appunto generando e non ci stiamo stagnando, stiamo generando vita non disperdendola.

Dopo il suo periodo sulla Terra, Thor ritroverà se stesso non come re di Asgard, ma come servo, come protettore del regno e ancor di più delle persone che ne fanno parte. Thor, mettendosi al servizio, troverà il senso di chi è e di ciò che sta facendo, e solo allora scoprirà la vera definizione di sé e di chi è chiamato ad essere. Troverà realmente se stesso e li potrà diventare davvero il Dio del tuono e il re di Asgard. E anche ciò che fa, acquista un valore diverso perché è svolto con amore e servizio, non per la gloria o per una strada già segnata.

La vita di Thor, ci può ricordare un episodio del vangelo, o meglio una parabola, che probabilmente abbiamo sentito centinaia di volte, ma che ogni volta può darci spunti interessanti: la parabola del figliol prodigo. Nel vangelo di Luca (15, 11-32) leggiamo: “Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa.”

Anche qui possiamo trovare delle analogie con la vita di Thor e con la nostra. Anche il figliol prodigo, di cui non si conosce l’identità, forse perché neanche lui l’aveva ben chiara, ha però una strada ben delineata: ereditare la fortuna del padre e vivere una vita di agio. Ma, in questo caso, il ragazzo sceglie di vivere questa strada in modo diverso: se sono chiamato a ereditare il posto di mio padre, la sua fortuna, lo prendo già ora facendo della mia vita ciò che voglio. Percorre la sua strada facendo ciò che vuole, proprio come Thor e spesso come noi.

Ma, proprio come Thor e come noi, quando decidiamo di percorrere una strada volta solo a cercare di saziare il nostro egoismo, alla fine ciò che ci ritroviamo ad avere è un esilio e il rimpianto di quello che avremmo potuto essere è non siamo stati, e tutto quello che avremmo potuto avere e abbiamo rigettato, perché non me avevamo capito il senso profondo.

Ma in entrambe queste storie, c’è una morale e una speranza. Proprio in quel momento di fallimento, tanto il figliol prodigo quanto Thor si rialzano perché è la loro occasione di ricordare chi sono chiamati ad essere, quale ruolo sono chiamati a rivestire e cosa sono chiamati a fare della loro vita nel senso più profondo. E, nel momento in cui si rendono conto dei loro errori, fanno una cosa che ci vuole molto coraggio per fare: tornano indietro e iniziano a servire.

E li, entrambi diventano chi sono chiamati ad essere: Thor il re di Asgard e il figliol prodigo davvero figlio del Padre. Ed entrambi, ancora fanno un’esperienza ancor più forte, quella della paternità di Dio che, se ci mette davanti delle crisi, è solo per farci apprezzare il valore profondo di chi siamo e cosa facciamo. Anche noi possiamo fare questa esperienza, ma per farlo, dobbiamo avere il coraggio di abbassarci a servire, perché solo in questo modo possiamo capire chi siamo e fare ciò che siamo chiamati a vivere.

In questa settimana quindi, ti invito a chiederti come stai vivendo la tua vita, se in maniera disordinata e per soddisfare il tuo piacere o se invece cerchi di servire e, se ti trovi nella prima situazione, prova a chiedere a Dio, in preghiera se vuoi, di darti il tuo posto nel mondo servendo pienamente li dove sei chiamato a stare. Se invece stai già servendo, allora affida ciò che fai a Dio e alla sera prenditi un momento per ringraziare per il posto in cui il Signore ti ha messo e per ciò che ha fatto, sta facendo e farà di te.

Antonio Pio Facchino

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