Le Beatitudini: strada per la santità
Il mese di novembre è dedicato ai santi, oltre che alla commemorazione dei defunti. È quindi dedicato a tutti coloro desiderano diventare santi. La santità non è una meta per pochi, ma per tutti, come si desume dal contesto in cui Gesù consegnò le regole per diventare santi.
Papa Francesco, nella sua catechesi sulle Beatitudini[1], specifica che l’insegnamento di Gesù è rivolto non solo ai discepoli, ma a tutta l’umanità, come si intuisce dal fatto che nella scena del vangelo vi erano le folle all’orizzonte. Tutta l’umanità può diventare santa. Perciò, in questo mese, approfondiremo i consigli che Dio ci ha donato per diventare santi.
Gesù indica le Beatitudini sul monte, stesso luogo su cui Mosè ricevette i Dieci Comandamenti. Possiamo quindi considerare le Beatitudini come la versione aggiornata dei Dieci Comandamenti, “Le Beatitudini ti portano alla gioia, sempre; sono la strada per raggiungere la gioia’’[2].
Tutte le beatitudini hanno la stessa struttura: iniziano con la parola “beati’’, seguita dalla condizione in cui essi si trovano e infine vi è il motivo della beatitudine, che “non è la situazione attuale ma la nuova condizione che i beati ricevono in dono da Dio’’[3].
Don Nicola, durante l’omelia della messa del giorno di Ognissanti, ha spiegato che il termine “beati’’ sta a indicare felice, ma in greco vi erano tre sinonimi di “felice’’:
- εὐτυχία (eutiuchía) che indica la buona fortuna, la felicità che deriva dal fatto che tutto è andato secondo i piani; è una felicità che va a giorni alterni;
- εὐδαιμονία (eudaimonia), è una felicità che dipende dallo stato d’animo;
- μακάριος (makarios), che sta a indicare la felicità intangibile dagli eventi quotidiani, è la gioia che proviene da Dio.
San Matteo, nel tradurre l’aramaico, ha scelto proprio l’ultima definizione di felice poiché è a quella felicità che Dio ci conduce attraverso il cammino delle Beatitudini.
Prima beatitudine
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli (5,3).
Chi sono i poveri in spirito?
É molto interessante che Matteo, a differenza di Luca, ha specificato “in spirito’’. Ciò che rileva quindi non è tanto la povertà materiale (che è strumento per arrivare alla povertà spirituale), ma il riconoscersi mendicanti dello spirito di Dio, di quel soffio di vita che Dio donò ad Adamo. La povertà in spirito è la libertà interiore dalle cose di questo mondo, libertà che ci consente di amare in totale gratuità proprio come Dio ci ama.
Il mondo ci educa a dover diventare qualcuno, ad affermare la nostra fama, il nostro nome, ma questo genera competizione, solitudine, ci conduce a calpestare l’altro. Invece noi siamo chiamati a custodire l’altro, a farci prossimo all’altro, a farci carico delle sue difficoltà per fargli sperimentare l’amore di Dio e per permettere a Dio di agire nel tempo e nella storia attraverso di noi. Siamo chiamati a custodire i desideri del cuore dell’altro, a pregare per essi e a impegnarci per realizzarli.
Dobbiamo chiedere a Dio il coraggio di vedere la nostra fragilità, la nostra vulnerabilità, di accettarla per avere l’umiltà di chiedere aiuto quando ne abbiamo bisogno. “Le persone orgogliose non chiedono aiuto, non possono chiedere aiuto, non gli viene di chiedere aiuto perché devono dimostrarsi auto-sufficienti. E quante di loro hanno bisogno di aiuto, ma l’orgoglio impedisce di chiedere aiuto. E quanto è difficile ammettere un errore e chiedere perdono!’’[4]
Un consiglio che il Papa dà agli sposi novelli è quello di utilizzare queste tre parole tra di essi:
- “permesso’’: chiedere cosa pensa l’altro al riguardo di una qualsiasi cosa;
- “grazie’’ per le piccole premure quotidiane che non devono mai essere date per scontate; nulla è dovuto, tutto è un dono;
- “scusa’’: chiedere scusa è la sfida più ardua perché mette in crisi il nostro orgoglio, umilia l’ipocrita immagine di perfezione che abbiamo di noi stessi; “L’orgoglioso non riesce a chiedere scusa, ha sempre ragione. Dio non si stanca mai di perdonarci, ma noi ci stanchiamo di chiedere perdono. Questa è la malattia più brutta che ci sia’’[5].
Per orgoglio chiudiamo il flusso dello straboccante fiume di misericordia con cui Dio ci ama.
Dov’è e cos’è il regno dei Cieli?
Il Regno dei Cieli non è futuro, è qui ed ora, come sottolinea il verbo “è’’. Il regno dei Cieli è, non sarà. Nella nostra quotidianità possiamo vivere il Regno dei Cieli se scegliamo la povertà di spirito, cioè di confidare pienamente in Dio; se scegliamo di camminare per essere sempre più simili a Dio, distaccandoci dai beni materiali per essere perfetti come è perfetto il Padre Nostro.
Qual è il potere di Cristo Re?
Fare “quello che i re della terra non fanno: dare la vita per gli uomini. E questo è vero potere. Potere della fratellanza, potere della carità, potere dell’amore, potere dell’umiltà. Questo ha fatto Cristo.
In questo sta la vera libertà: chi ha questo potere dell’umiltà, del servizio, della fratellanza è libero. A servizio di questa libertà sta la povertà elogiata dalle Beatitudini’’[6].
Puoi scegliere un oggetto a cui sei molto legato, con il rischio che diventi un idolo, da regalare a qualcuno per sperimentare la libertà di amare; oppure puoi fare un’azione di carità, di misericordia, di perdono, di umiltà che ti liberi dal tuo orgoglio e generi un circolo virtuoso d’amore.
Buon cammino di santità!
Francesca Amico
[1] PAPA FRANCESCO, Le Beatitudini, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana.
[2] PAPA FRANCESCO, Le Beatitudini, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana.
[3] PAPA FRANCESCO, Le Beatitudini, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana.
[4] PAPA FRANCESCO, Le Beatitudini, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana.
[5] PAPA FRANCESCO, Le Beatitudini, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana.
[6] PAPA FRANCESCO, Le Beatitudini, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana.
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