Cersei Lannister: da vittima a carnefice
Solitamente noi siamo portati a valutare una persona soprattutto da ciò che dice o che compie: se una persona si comporta bene, tendiamo a giudicarla buona e, al contrario, se tutta la sua vita è piena di scelte sbagliate ecco che scatta l’etichetta negativa. Per quanto questo sia un metodo quasi “naturale”, tuttavia non è per niente infallibile e oggettivo. Dunque oggi ci focalizzeremo su un personaggio di “Game of Thrones” le cui azioni ci hanno portato a giudicarla il male assoluto della storia, la cattiva per eccellenza che deve essere sconfitta con ogni mezzo: Cersei Lannister.
La regina Cersei sicuramente è una donna negativa, una donna sulla quale Martin vuole porre l’attenzione del lettore prendendo una posizione: infatti, chi ha letto i libri sa che Martin proceda con una narrazione particolare, attraverso il punto di vista di alcuni personaggi. Per esempio nei primi libri sappiamo che l’autore dia la parola a Ned Stark o alle suo figlie Sansa e Arya, nonché alla moglie Catelyn o a Daenerys solo per citarne alcuni. Di loro conosciamo in modo particolare la psicologia, i pensieri che ruotano nelle loro menti, i giudizi più intimi che ci portano ad empatizzare con loro. Invece a Cersei, sebbene Martin lasci parlare anche i suoi fratelli Jaime e Tyrion, non è data la parola: la conosciamo soltanto attraverso lo sguardo esterno degli altri. Con questo espediente narrativo, subito prendiamo le distanze da lei, non c’è concesso indagare la sua mente e scorgere i sentimenti del suo cuore. Tutti la giudicano male e, di conseguenza, anche il nostro giudizio sarà negativo.
Indubbiamente Cersei rappresenta il personaggio cattivo per eccellenza nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco: una donna adultera e incestuosa che ordisce trame nel segreto per sbarazzarsi di tutti coloro che potrebbero mettere a rischio la sua vita. Inganna il marito Robert concependo figli non suoi, lotta per difendere il prestigio della sua casata e dei suoi figli, non esita ad uccidere pur di riuscire nel suo intento. Ma noi possiamo ricostruire alcuni tratti della psicologia di Cersei attraverso dei rimandi indiretti nei libri. Sappiamo, infatti, che la madre Joanna, accortasi del legame troppo morboso tra Cersei ed il suo gemello Jaime, decide di dividerli spedendoli in due corti diverse, nella speranza che dimenticassero il loro amore passionale. Cersei, all’età di 11 anni, insieme all’amica Melara Heatherspoon si reca da una veggente, Maggy la Rana, la quale profetizza il loro futuro funesto: mentre Melara sarebbe morta di lì a breve, Cersei invece sarebbe diventata regina ma i suoi tre figli sarebbero morti prematuramente e la sua esistenza sarebbe stata costantemente minacciata da una donna più giovane che l’avrebbe spodestata. Infine, Cersei sarebbe morta per mano di un suo fratello. Pochi giorni dopo questo incontro, Melara morì annegando in un pozzo e questo suscitò in Cersei un timore divenuto presto paranoia. Non a caso lei nutrì un incomprensibile astio per il fratello minore Tyrion, come se ritenesse che proprio lui l’avrebbe uccisa.
Poi, andando avanti negli anni, dopo la ribellione di Robert Baratheon, il padre Tywin combinò un matrimonio proprio con il nuovo re dei Sette Regni. Nei libri si racconta che Cersei fosse davvero innamorata di lui ma che quest’amore fu rovinato durante la prima notte di nozze quando il marito la chiamò con il nome di un’altra donna, Lyanna Stark. Dunque, una ragazza traumatizzata dalla morte prematura della madre e spedita in una corte straniera da piccola sicuramente restò segnata da questi eventi: per di più la profezia di Maggy suscitò in lei uno stato di perenne inquietudine, mascherando le proprie fragilità dietro la parvenza di crudeltà e cinismo.
A ben guardare, quindi, non sorprendono più molto le azioni e i comportamenti di Cersei, indirizzati principalmente a salvare la vita dei suoi figli, o i suoi sentimenti di odio nei confronti del marito e il tradimento verso quest’ultimo. Sono tutte azioni che sono dettate dal suo vissuto, dalle sue ferite e dai suoi traumi, che la condizionano al punto di vivere in funzione di essi.
Difatti, come una ferita non curata si infetta e si incancrenisce, allo stesso modo i traumi e le ferite che ci portiamo dentro, se non sono risolti, hanno gli stessi effetti nelle nostre vite, anche se a volte fatichiamo a vederne l’origine. E forse, possiamo ipotizzare, non è un caso che Martin non le dia la parola, per il semplice motivo che, quando viviamo schiavi del nostro passato, quando viviamo in funzione delle nostre ferite o delle nostre paure, perdiamo la capacità di dire qualcosa di nuovo, di dare un contributo nel mondo e, ancor di più, perdiamo noi stessi. Tutti i personaggi di Game of Thrones hanno una loro evoluzione che potremmo definire in uscita, ovvero che li porta a combattere i loro demoni e superare i loro traumi. Al contrario, Cersei involve, cioè precipita sempre più dentro sé stessa, fino al punto di alienarsi totalmente al mondo mentre Daenerys assedia la città.
Tutti noi, proprio come Cersei, ci portiamo dietro delle ferite che ci fanno male, anche se non sempre le riconosciamo. Tutti noi abbiamo delle paure con cui siamo chiamati a confrontarci o che ci fanno vivere nella “paranoia” di qualcosa di male che possa accadere. E tutti noi cerchiamo, come Cersei, di avere un controllo maniacale della nostra vita al fine di evitare che le nostre paure si realizzino. Ma, se viviamo schiavi di questi meccanismi, finiamo con il perdere il nostro diritto di parola, e in ultima istanza, noi stessi.
Un’alternativa a questi meccanismi, però, ce la offre san Paolo, che nella lettera ai Romani scrive “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!»“ (Rm 8, 15).
Cersei, per tutta la sua vita, si farà consumare da uno spirito schiavo delle sue paure e dei suoi traumi, ma noi, oggi, possiamo prendere una decisione diversa: possiamo scegliere di essere figli, di essere amati e di essere liberi.
E come possiamo fare per vivere da figli? La risposta ce la da il significato della parola stessa. Il figlio è anzitutto colui che ha dei genitori, ovvero qualcuno che lo ama e che si prende cura di lui, ed è la prima cosa di cui siamo chiamati a prendere consapevolezza. Non possiamo controllare tutto ciò che ci capita, ma possiamo scegliere di fidarci di Qualcuno che qualunque cosa ci capiti è al nostro fianco. Il figlio poi, è tale quando ha una relazione con i genitori. E questo è un secondo punto importante. Non possiamo sentirci amati, supportati o guidati se non rivolgiamo la parola al Padre. E questo si può fare solo in preghiera, a tu per tu con Dio. Solo li possiamo avere questa esperienza. Il figlio poi è qualcuno che ha dei fratelli, e questo significa che non siamo fatti per essere chiusi in noi stessi e involvere come Cersei, ma siamo chiamati ad evolvere, a crescere insieme a dei fratelli che possono correggerci, supportarci, e aiutarci nel cammino della nostra vita. Questi sono i nostri amici più fidati e stretti, quelli veri. Jaime e Tyrion, conservando il loro essere fratelli, sono riusciti a tirar fuori il loro splendore. Cersei, chiudendosi in sé stessa, è finita per annichilire. Ultimo, ma non meno importante, un figlio ha una famiglia. E si, perché possiamo credere che siamo soli, ma in realtà non dobbiamo aver paura di chiedere aiuto anche a persone esterne se vediamo che da soli non riusciamo. Può essere uno psicologo quando si tratta di difficoltà che non riusciamo ad affrontare nella nostra vita, può essere un sacerdote o un padre spirituale quando si tratta di problemi spirituali. In ogni caso, è importante non aver paura di chiedere aiuto.
Questo, appena detto, è lo Spirito che abbiamo ricevuto, non lo Spirito di Cersei, di schiava anche se regina, ma lo Spirito di Dio, lo Spirito di figli, e tutto ciò che dobbiamo fare per ottenerlo è chiederlo.
In questa settimana, l’invito è proprio di chiedere lo Spirito Santo e, quando ci troviamo davanti a paure profonde o adottiamo comportamenti che sono frutto di ferite passate, proviamo a pensare: voglio vivere da servo o da figlio?
Emanuele Di Nardo e Antonio Pio Facchino
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