Rendete la vostra vita un’opera unica
Vi era un santo, di grande fama in Cielo e in terra perché ha sempre scelto l’ultimo posto e così facendo ci ha indicato la via della salvezza, che disse «predicate il vangelo e se è proprio necessario usate anche le parole». (Cercate di indovinare voi chi è il santo in questione, senza cercare su internet).
Questa frase si è incisa nella mia mente e da lì è totalmente cambiato il mio rapporto con le persone: non ha senso mettere i manifesti per il fatto di essere cristiani; non ha senso porsi sul piedistallo e dire ai fratelli e alle sorelle che stanno sbagliando; non ha senso esaltarsi perché abbiamo incontrato Dio. Ci è solo richiesto di abitare la realtà, il mondo, le nostre relazioni: è sufficiente il solo fatto di esserci, di far presente Cristo alle persone con un sorriso, con una carezza, con un abbraccio, con l’ascolto, con il dialogo…
Ed è proprio quello che ho ricevuto ieri.
Ero sottotono, la correzione di una prova da parte del mio formatore era stata desolante: mi sentivo un’incapace.
Probabilmente il mio stato d’animo era evidente anche al di fuori perché un mio collega si è avvicinato chiedendomi come stessi, avevo cominciato a parlargli e mi ha proposto di uscire fuori dall’aula. Mi ha ascoltato con premura, non mi ha detto nulla di eccezionale, ma in quelle poche parole dette con tenerezza ho sperimentato una carezza all’anima.
Avevo pensato di passare in chiesa per fare un saluto a Gesù prima di tornare a casa e con mia sorpresa, entrata nella chiesa di San Domenico, ho sentito intonare il canto Guariscimi o mio Signor[1]. In qualche secondo sono stata trasportata a Medjugorje e ho sperimentato la pace inconfondibile di quel luogo.
Poco dopo la mia attenzione è stata catturata da una fila di persone che si avviava verso l’altare, pensavo che stessero andando a prendere la comunione, ma dopo qualche minuto mi sono accorta che la fila non defluiva. Mi sono avvicinata e ho chiesto a una signora cosa stessero facendo. Con prontezza mi ha risposto: «Stanno dando l’estrema unzione! Vada, vada! È aperto a tutti!». Lì per lì ho avuto un momento di titubanza, ma poi ho pensato «se dovessi morire a breve sarei già pronta, ne approfitto».
Mi sono messa in fila anche io e poco dopo mi sono ritrovata davanti a un frate dell’Oasi della Pace di Medjugorje, ha imposto le mani sul mio capo, ha pregato per me e infine mi ha unto con l’olio sacro. Ero commossa: avevo percepito tutta la tenerezza di Dio in quel momento.
Mi sono avviata verso la porta di uscita della chiesa per tornare a casa: il mio spirito era leggero e mentre camminavo manifestavo a Gesù il desiderio di prendere parte alle iniziative proposte durante questa settimana per la missione Ascolta la Pace.
Mentre camminavo mi è sovvenuto in mente che un mio amico era in una chiesa sotto le Due Torri: inizialmente stavo procedendo oltre, ma poi ho cambiato idea all’ultimo. Nel mentre mi dirigevo verso la chiesa ho intravisto due frati con il loro inconfondibile abito azzurro e ho iniziato a pedinarli finché non sono entrati in una porta laterale della chiesa. In quel momento li ho salutati e ho chiesto se vi fosse un’attività aperta a tutti o meno. Non ho avuto neanche il tempo di chiederlo che già mi avevano invitato a entrare. Stavo cercando di spiegare che volevo solo salutare un mio amico e giustamente fra Pietro mi ha risposto: «Se vuoi puoi salutare anche noi» e si è presentato. Sono entrata nella stanza, non credevo ai miei occhi. Il pranzo del giorno era stato velocissimo, quasi inesistente, avevo una fame allucinante e davanti a me c’erano lasagne, cotolette, patatine fritte, rustici, insalate di riso…ero sbalordita. La Provvidenza di Dio fa veramente miracoli. È vero che se apriamo i nostri occhi e le nostre orecchie possiamo sperimentare la presenza viva di Dio nella nostra vita.
Tornando alla cena, ho preso del cibo e mi sono seduta dove vi era un posto libero, in mezzo a frati e suore. Al mio fianco c’era fra Pietro che con molta pace e tenerezza mi ascoltava e mi condivideva la sua storia. Finito di mangiare, fra Luca, che avevo pedinato per arrivare lì, mi ha chiesto: «Francesca, vieni al rosario per la pace in San Domenico?». Ero stanchissima, ero fuori di casa da più di dodici ore, ma il cibo mi aveva rigenerato e la gioia che avevo nel cuore superava di gran lunga la stanchezza che avviliva le mie membra.
Nel camminare insieme ai frati e alle suore dalle Due Torri verso la chiesa di San Domenico ho conosciuto suor Maria Dulcissima, di origine tedesca, vissuta a Roma per vent’anni e da poco trasferitasi a Medjugrje. Mi ha raccontato la storia del suo nome che è lo stesso di una sua zia suora che pregava instancabilmente e che aveva pregato affinché uno dei suoi tanti nipoti si consacrasse: aveva chiesto a Dio di non morire finché non avesse visto questo miracolo. Nel giorno in cui suor Maria Dulcissima jr. disse il suo sì, la zia spirò.
Nel mentre ero immersa in questo tripudio di gioia, di pace e di tenerezza siamo arrivati nella chiesa di san Domenico dove abbiamo pregato il rosario. Le decine erano inframezzate da meravigliosi canti gregoriani e mentre il coro cantava mi sono accorta di essere ai piedi di una croce fissata al soffitto con un lungo cavo. Ero rimasta lì a osservare Gesù mentre cantavano e mentre introducevano con alcune meditazioni la decina successiva. «Non sono i chiodi ma l’amore che ho per voi che mi tengono attaccato alla croce». Mentre ascoltavo quella dichiarazione di Gesù e lo osservavo sulla croce, ho pensato a Maria che era più o meno nella mia stessa posizione e con la stessa visuale: mi sono commossa.
Quanto dolore e quanto amore. Appartengo a un Dio che mi ha preso a cuore, che mi ama fino al punto di sacrificare la sua vita per me. La fede è lasciarsi salvare, è avere l’interiore certezza che siamo di Qualcuno che ha donato la vita proprio per noi, per te e per me[2].
Il racconto della giornata di ieri non è ancora finito perché al termine del rosario alcuni frati ci hanno chiesto di avvicinarci all’altare perché vi erano 112 tessere di un mosaico (che rappresentava san Domenico e i suoi a cena) destinate ciascuna a ognuno dei presenti. Non solo, dietro a ogni tessera vi era una parola tratta dalla Bibbia e un passo biblico a essa riferita.
La parola che mi è giunta è «abitare».
Ripensando alla parola ho capito che è necessario vivere la realtà che mi circonda con le persone che sono intorno a me e riflettere tutta la luce di cui Dio mi inonda per donare la speranza della salvezza a tutti coloro che incontro nel mio cammino.
È insita in noi una ricerca del senso più profondo della nostra vita. Don Luigi Epicoco ci dice «Persino chi non crede ha bisogno di rispondere a questa domanda di senso, e proprio per questo un credente ha la doppia responsabilità non soltanto di cercare una luce che lo salvi, ma di lasciarsi illuminare da quella luce fino a diventare luce per chi non l’ha incontrata. È il misteryum lunae a cui tutta la chiesa in ogni suo singolo appartenente è chiamata. Così come la luna non splende di luce propria, ma illumina la notte, così ogni battezzato non splende di luce propria, ma illumina la notte dei fratelli che incontra sulla strada»[3].
Cerchiamo il senso più profondo della nostra vita e dopo aver ricevuto il dono della luce facciamone dono a chi incontriamo nel nostro cammino!
P.S. il santo dell’incipit è san Francesco d’Assisi.
Francesca Amico
[1] FIGLI DEL DIVINO AMORE, Guariscimi o mio Signor. È possibile ascoltarla al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=e7_MBc0yhMg.
[2] Cfr. L.M. EPICOCO, Commento al vangelo del 4.04.2022 (da Facebook), in cercoiltuovolto.it. E’ possibile consultarlo al seguente link: https://www.cercoiltuovolto.it/vangelo-del-giorno/don-luigi-maria-epicoco-commento-al-vangelo-del-4-aprile-2022/.
[3] L.M. EPICOCO, Commento al vangelo del 5.04.2022 (da Facebook), in cercoiltuovolto.it. E’ possibile consultarlo al seguente link:https://www.cercoiltuovolto.it/vangelo-del-giorno/don-luigi-maria-epicoco-commento-al-vangelo-del-5-aprile-2022/.
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