Rigopiano, cinque anni dopo: una tragedia che ci invita a rinascere
Rigopiano. Una sola parola e si gela il cuore. Il tempo si ferma. Il flusso di pensieri si blocca. Ogni azione s’interrompe. Il respiro quasi si ferma. Passano davanti agli occhi le scene che tutti i TG trasmettevano dopo più di 12 ore dalla slavina.
Neve. Strade bloccate. Silenzio. L’hotel non c’è più. Solo un mare di neve davanti agli occhi. Urla di soccorritori che chiedono “C’è qualcuno?”. Nessuna risposta. Una tormenta di neve inarrestabile. Un freddo che penetra fin dentro le ossa. Si fa fatica anche a piegare le dita delle mani.
Quel giorno Paolo deve svolgere un turno in hotel. Un imprevisto gli impedisce di salire da Farindola. Gabriele lo tranquillizza: lo sostituirà lui.
I soccorritori ricevono l’ordine di partire. Purtroppo molto tardi. Sono passate le 20. La valanga aveva distrutto tutto già dalle 16.40 del 18.01.2017.
Le condizioni meteo sono proibitive. La strada è bloccata da un muro di neve, ma non solo. Vi sono tutti i resti dei tronchi che la slavina ha spazzato via. I soccorritori devono tagliare quelli più lunghi per consentire alla turbina di sgomberare la strada. E’ un lavoro di ore. Alcuni alpinisti indossano gli sci e cominciano a salire verso l’hotel.
Alle 4 del mattino giungono in un mare di neve.
“Abbiamo visto i cani che si agitavano e allora ho detto: «sono arrivati a prenderci». Nel momento in cui ho visto le loro luci arrivare…è stata…una sensazione che non si può spiegare…”[1], testimonierà poi Fabio, l’addetto alla manutenzione dell’hotel.
L’imponente struttura dell’hotel è scomparsa. E’ irreale. Solo neve. Nessun punto di riferimento. I soccorritori cominciano a utilizzare le sonde. C’è qualcosa!
Una persona. E’ Gabriele, senza vita purtroppo.
Fabio, che era riuscito a evadere dalle macerie, cerca spaventato la sorella Linda. Gira in tondo. A un certo punto si accorge di un Vigile del Fuoco, Mauro, intento a utilizzare un gruppo elettrogeno. Lui quel gruppo elettrogeno lo conosceva bene così si avvicina per dare aiuto a Mauro e si mette al suo servizio anche per individuare l’hotel, la sua dislocazione e la struttura interna.
I Vigili del Fuoco cominciano a scavare.
Finalmente ritrovano, sepolto sotto 3 metri e mezzo di neve, il tetto della struttura.
Alt! C’è un solaio. Occorre aprire un altro varco.
Mauro chiede se c’è qualcuno. Una flebile voce risponde. La speranza si riaccende.
Occorre scavare un varco all’interno della struttura ormai colma di detriti. Ma lo si può fare solamente da sdraiati a mani nude. Solo Fabrizio, un collega di Mauro, può entrare fisicamente in quell’angusto tunnel. Non si tira indietro.
Dopo racconterà: “Ti ritrovi a strisciare nella neve, ma è solo neve. Non hai nessun punto di riferimento. Io continuavo a scavare, ma la porta che diceva Fabio purtroppo non la trovavo.
[Finalmente si vede un’intercapedine. Si sentono delle voci]. Stavamo parlando con la bambina, mi chiedevano se era giorno o se era notte perché chiaramente dopo due giorni al buio, senza alcun riferimento, avevano perso la cognizione del tempo. Mi hanno detto che avevano sete. Speravamo di essere arrivati alla sala biliardo, invece, lavorando con la torcia – perché era chiaramente tutto buio- mettendo la mano ho sentito che era cemento armato e c’era uno spessore di circa 80 cm. Loro comunque continuavano a chiederci “quando arrivate? Quando arrivate?” Quindi…scavi in un senso e dall’altro devi comunque cercare di farti sentire tranquillo e confortare loro”[2].
I soccorritori non si fermano un istante. Cominciano a estrarre con molta difficoltà i sopravvissuti.
Intanto i TG annunciano che presto ne saranno estratti altri cinque. I genitori, i familiari, delle vittime accorrono all’ospedale. I medici leggono i nomi delle persone che saranno estratte a breve.
Alessio, papà di Stefano, racconterà: “Se non vado errato il secondo nome era quello di mio figlio. […]Subito dopo […] esce un’intervista del prefetto davanti all’ospedale […] e legge i cinque nomi. Il nome di mio figlio non c’era più”[3].
Paola, mamma di Emanuele dichiarerà: “Il giorno che diedero i nomi dei sopravvissuti…la lotteria più macabra della mia vita. Certo, c’era chi gioiva, ma la maggior parte era disperata…”[4].
Gli ultimi sopravvissuti sono prelevati 58 ore dopo il crollo dell’hotel. Sono stremati, assetati, affamati, infreddoliti.
Mauro, il Vigile del Fuoco condividerà poi: “Tutte le emozioni, che quando eravamo lì sotto avevamo bloccato, sono venute a galla con una prepotenza veramente disarmante. 35 anni di carriera, di emozioni […] sono stati ripagati; 35 anni anche di delusioni per tante volte in cui sei arrivato a tanto così e non ce l’hai fatta a salvare qualcuno. Questa volta…ce l’abbiamo fatta”[5].
La Polizia Scientifica avvisa di aver rintracciato un wi-fi sotto le macerie. I soccorritori continuano a scavare per 4 metri. Finalmente una voce. E’ Giampaolo. Prima di arrivare a estrarlo però, occorre tirare fuori una persona deceduta.
Finalmente è il turno di Giampaolo. La prima preoccupazione è: “Avvisate mia moglie che sto bene, è tutto apposto. Ma dov’è?” “L’abbiamo portata al caldo”, rispondono i soccorritori per tranquillizzarlo.
La persona estratta poco prima, ricoperta da un lenzuolo bianco è Valentina, la moglie di Giampaolo.
Il Vigile del Fuoco Carlo ci racconterà: “C’erano ancora 25 dispersi…speravamo di trovarli vivi…abbiamo ritrovato tutte le persone interessate da schiacciamento classico da crollo purtroppo, tranne un unico caso: quella ragazza [Paola] che abbiamo recuperato nella hall. Abbiamo scoperto che lei ha avuto la forza di mandare dei messaggi, di cercare di chiamare…purtroppo in quella zona i campi telefonici erano praticamente nulli, inesistenti, quindi non è partita nessuna telefonata”[6].
Paola aveva scritto tre messaggi: “Aiuto!! Sono bloccata dalle macerie, aiutooo!”
“C’è stata un’esplosione”
“Vi amo tutti, salutami mamma <3”
Fabio ci racconterà: “Il ritrovamento [della sorella Linda] fu il giorno del suo compleanno. Il quarto giorno sono arrivati escavatori e ruspe…hanno cominciato a scavare. Il giorno del suo compleanno…io ho detto “voglio mia sorella a tutti i costi”. Io indicai dove stava e si andava avanti a scavare, si andava avanti, si andava avanti…ho sentito le urla dei soccorritori e ho detto “qui c’è il corpo di mia sorella”. Li ho abbracciati tutti, li ho ringraziati per il loro lavoro. Sono scoppiato a piangere e…sono sceso senza guardarla perché sapevo che…”
Claudio, lo zio di Fabio e di Linda, ci dirà: “ Quando ho visto Fabio che scendeva, ho capito…”
Fabio: “Gli ho chiesto se mi riaccompagnava a tornare a casa anche per aiutarmi a dare la notizia ai miei genitori”.
Lo zio: “Non gli ho chiesto niente. Ci siamo abbracciati e siamo tornati…a casa insieme”[7].
Nicola, il papà di Marinella racconterà: “Mia figlia l’hanno ritrovata per ultima […] l’anno scorso ha voluto festeggiare i suoi 30 anni, ha chiamato tutti gli amici, tutti coloro che lavorano con lei […] l’ho abbracciata e l’ho stretta tanto…è stata l’ultima volta…purtroppo…e dopo tre mesi in quello stesso luogo vi ho fatto il funerale”[8].
Paola, la mamma di Emanuele concluderà: “Non è accettabile perdere un figlio così, mentre lavorava, mentre svolgeva il proprio lavoro…
Io…faccio l’insegnate, sono 35 anni che insegno ai miei bambini i principi della lealtà, della correttezza, della legalità…adesso mi vergogno quando sento l’Inno di Italia, non riesco più a cantarlo come prima. Spero che la giustizia mi ridia almeno questo: l’onore di appartenere a un Paese che merita”[9].
Quest’articolo riesce solo in un’infinitesima parte a raccontare quello che trasmette il documentario a cui si ispira. Vi consiglierei di guardarlo per accogliere la testimonianza dei diretti interessati e trarne frutto per la vita.
Forse la migliore scelta che si può fare in questa circostanza è il silenzio e la preghiera. Una preghiera che accolga il dolore di tutti questi fratelli e di queste sorelle, una preghiera che si faccia carico della loro croce, una preghiera concreta che si traduca in una chiamata, in un messaggio, in una visita, in un sorriso…ma anche una preghiera col cuore rivolta a Dio e alla dolce Madre Nostra.
L’ultimo messaggio di Paola è stato proprio “Vi amo tutti, salutami la mamma <3”.
“Mamma” è la prima parola che impariamo e molto spesso l’ultima che diciamo nella nostra vita. Le mamme sono essenziali. Ancora di più la Mamma Celeste.
Oggi vi inviterei a pregare un’Ave Maria per tutte le vittime, i sopravvissuti, i loro familiari, i soccorritori e tutte le persone direttamente e indirettamente toccate da questa tragedia.
Vi lascio le parole di un frate, Emiliano Antenucci, che ha vissuto il dramma del terremoto de L’Aquila:
Che cosa ha detto alla mia vita il terremoto? Svegliati […]! Ogni momento che vivi è un dono, è una grazia, un presente che non si ripete, un attimo di eternità sulla terra. Ogni persona che incontri è un regalo, quindi non respingerla, ma “scartala con cura”, donale fiducia, conforto, misericordia, insieme al perdono di Dio e la gioia di vivere. Ogni persona che incontri ti lascia parte di sé, e anche tu le doni parte di te. Gli incontri ci cambiano la vita […][10].
Francesca Amico
[1]Film documentario: Rigopiano – Voci Dal Gelo, prodotto e diretto da M. VISALBERGHI. E’possibile vederlo al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=M0kDHOvWAIQ.
[2] ibidem.
[3] ibidem.
[4] ibidem.
[5] ibidem.
[6] ibidem.
[7] ibidem.
[8] ibidem.
[9] ibidem.
[10] E. ANTENUCCI, Gli ultimi saranno i primi, Cantalupa (TO), Effatà Editrice, 2019.
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