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Il mito della Caverna: quanto credi nella tua verità?

Tra il 390 e il 360 a.C., un celebre filosofo dell’antica Grecia di nome Platone, scrive un mito che passerà alla storia come “il mito della caverna”. [1]

Di cosa parla esattamente questo mito, di cui tanti di noi forse avranno sentito parlare?

La storia è sostanzialmente questa: 

Immagina dei prigionieri che sono stati incatenati, fin dalla nascita, nelle profondità di una caverna, in modo che i loro occhi possono solo fissare il muro davanti a loro. Alle spalle dei prigionieri è stato acceso un enorme fuoco e, tra il fuoco ed i prigionieri, corre una strada rialzata. Lungo questa strada c’è un muretto lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone. Le forme proiettano la propria ombra sul muro e questo attira l’attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parla, si forma nella caverna un’eco che spinge i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.

Un giorno, un prigioniero viene liberato dalle catene e si alza in piedi, con la faccia rivolta verso l’uscita della caverna. Inizialmente i suoi occhi sono abbagliati dalla luce del sole ed egli prova dolore e vedendo le persone con gli oggetti in mano, è resistente e preferisce tornare a guardare le ombre. Ma poi, sceglie di uscire dalla caverna e, sebbene inizialmente abbagliato dal sole, il prigioniero riesce a distinguere soltanto le ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell’acqua; con il passare del tempo però, si dimostra capace di sostenere la luce e guardare la realtà. Ormai il prigioniero è un uomo libero ed in grado di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell’acqua, e capirebbe che: “è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in un certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano”.[2]

Resosi conto della situazione, tutto felice del cambiamento, subito torna nella caverna per liberare i suoi compagni. E lì si presenta il problema, ovvero convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi all’ombra, deve passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente anche nel fondo della caverna e, durante questo periodo, molto probabilmente egli viene deriso da parte dei prigionieri, in quanto è tornato dall’ascesa con “gli occhi rovinati”. Inoltre, questa sua temporanea inabilità influisce negativamente sulla sua opera di convincimento e, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri ad ucciderlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell’accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte.

Ora vorrei spingermi un po’ oltre, e fare un paragone con un episodio avvenuto 400 anni dopo la scrittura di questo racconto. Poniamo il caso che sia stata la luce ad entrare nella grotta, davanti a tutti. Quale sarebbe stata la reazione dei prigionieri? La storia ci dice che è stata esattamente la stessa. Leggendo il vangelo di Luca (Lc 2, 1-20), possiamo vedere come Gesù nasce proprio in una grotta e il vangelo di Giovanni si apre proprio dicendo: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.” (Gv 1, 4-5)

Allo stesso modo dell’uomo libero, Gesù predica la verità eppure non viene accolto. Stavolta però, la difficoltà non sta nella necessità di abituarsi alle tenebre della caverna, ma nella chiusura che spesso abbiamo noi. E la fine della storia è esattamente la stessa: gli altri prigionieri lo uccidono, perchè tentava di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non valeva la pena di subire il dolore dell’accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte.

Il mito della caverna e ancor di più la nascita di Gesù, che tra qualche giorno festeggeremo con il Natale, ci danno alcuni grandi insegnamenti per la nostra vita.

Un primo punto da prendere in considerazione è questo: viviamo in un mondo costantemente manipolato da mille influenze diverse, teorie più disparate, opinioni su opinioni che ci portano a credere, troppo spesso, ad ombre che crediamo siano la realtà. Ma siamo proprio sicuri di quello in cui crediamo? Ci sono delle verità che forse diamo per scontate o ci sembrano troppo banali per essere credute? Interroghiamoci su quello in cui crediamo, fosse anche materia di fede, perché proprio dal dubbio parte la ricerca della verità.

Purtroppo, però, siamo una specie molto resistente alla verità. Difatti, l’ignoranza è confortevole mentre la verità scomoda, perché ci chiama a metterci in discussione. Se l’ignoranza infatti è come stare comodamente sdraiati su un divano, la verità ci obbliga ad alzarci e a metterci alla sua ricerca. E questo vale per tutti gli ambiti della nostra vita, dalla fede alla scienza. 

Infatti, una parte di noi si sente a proprio agio con gli stereotipi e le credenze familiari, con tradizioni che ci fanno sentire al sicuro e quando vediamo un raggio di luce che ci costringe ad analizzare queste cose da un’altra prospettiva, abbiamo paura e possiamo comportarci come i prigionieri, negando la nuova realtà.

Non solo l’ignoranza è pigrizia, ma è anche vero che cambiare idea è un processo molto faticoso. Infatti, cambiare idea implica rivedere i nostri comportamenti, i nostri atteggiamenti; implica affrontare il giudizio degli altri e talvolta fare delle rinunce nella nostra vita. 

È vero che i cambiamenti di paradigma possono generare paura, perché ci tolgono i parametri di riferimento facendoci mettere in discussione alcune delle credenze che abbiamo sempre considerato verità assolute, ma se desideriamo veramente crescere, non dobbiamo afferrarci a nessun modo assoluto di vedere il mondo, dobbiamo aprirci al flusso di idee e prospettive nuove, purchè ben analizzate e ponderate.

Qual è la verità che illumina la nostra vita? Preferiamo le ombre o ricerchiamo la luce? Siamo disposti a metterci in discussione? 

Come disse un noto scienziato e santo del 900, “Ama la verità; mostrati qual sei e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio”.

Antonio Pio Facchino


[1] VII libro de La Repubblica

[2] Platone, La Repubblica, libro VII, 516 c – d, trad.: Franco Sartori

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