Una guerra durata 100 anni
Agli inizi del ‘900, inizia a fare la sua comparsa nel mondo una nuova scienza, forse strana e incompresa, ma sicuramente destinata sicuramente a cambiare il mondo: la psicologia. Inizia tutto con un uomo di 36 anni di nome Sigmund Freud che, insieme al suo amico e collega Joseph Breuer, pubblica un libro dal titolo: “Sulla teoria dell’attaccamento isterico” (1892), in cui presenta il germe di una teoria della mente. Con il passare degli anni i suoi studi continuarono e la conoscenza riguardo la mente aumentò sempre più. Allo stesso tempo però, la psicologia, scienza emergente, si trovò in contrasto con qualcosa di tanto simile quanto diverso: la fede cattolica.
Difatti, Freud non fece mai mistero sulle sue opinioni riguardo la fede cattolica, considerandola tra i maggiori ostacoli alla felicità umana. Nello specifico, nel libro “L’avvenire di un’illusione” (1927), Freud descrive la religione come un’illusione, cioè “l’incarnazione dei più antichi, forti e profondi desideri del genere umano”. La religione, per lui, era l’espressione di un “complesso del padre”: l’uomo, consapevole della sua natura mortale ed in lotta con le forze della natura, si rivolge a Dio come «un bambino desideroso del padre». In particolare, secondo Freud, «la religione sarebbe la nevrosi ossessiva universale dell’umanità; come quella del bambino, essa ha tratto origine dal complesso edipico, dalla relazione paterna».
Freud sottolineava inoltre che «gli Dèi svolgono un triplice compito: essi esorcizzano il terrore delle forze naturali, riconciliano l’uomo con la crudeltà del Fato, in particolare nella forma della morte, e offrono una consolazione per le sofferenze e le privazioni che una vita civilizzata ha imposto».
Ma se Freud condannò la fede e la religione, la Chiesa cattolica non rimase in silenzio, denunciando non soltanto il «pansessualismo» (ovvero il fatto che Freud mise la pulsione sessuale sostanzialmente al centro della vita psichica dell’uomo) ma anche l’ambizione «totalitaria» della pratica psicanalitica freudiana che veniva decisamente osteggiata. Le opere di Freud furono messe all’Indice e ancora agli inizi degli anni Cinquanta il Vicariato di Roma, la diocesi del Papa, definiva «peccato mortale» il fatto che un cattolico si rivolgesse a uno psicanalista.
Nel 1952 si inizia a intravedere uno spiraglio di apertura quando Pio XII commentò che non per forza una terapia degna di questo nome deve avere come centro la pulsione sessuale. Questa piccola apertura tuttavia, rischiò nuovamente di chiudersi quando nel luglio 1961 sotto il papato di Giovanni XXIII, il Santo Uffizio pubblicò un monitum in cui ai sacerdoti e ai seminaristi veniva proibito di praticare o sottoporti alla psicoanalisi. Ma questa scienza fiorente continuava a far parlare di sé, al punto che nel 1967 Papa Paolo VI fa cadere tutti i divieti precedenti e nell’enciclica “Sacerdotalis Coelibatus” apre alla possibilità del ricorso all’assistenza e all’aiuto di un medico o uno psicologo competente.
Dall’inizio della pratica psicologica, insomma, c’è sempre stata opposizione con la fede, con spiragli più o meno aperti. Ma oggi come va la situazione? Come si sono concluse quasi 100 anni di lotte?
Certamente la situazione è nettamente migliorata. Al giorno d’oggi la fede cattolica accetta e accoglie la psicologia come scienza della mente e, ironia della sorte, i seminaristi oggi sono accompagnati anche da degli psicologi in seminario, così come nei tribunali ecclesiastici è sempre presente la figura di uno psicologo.
Lo stesso Papa Francesco, in un dialogo con il sociologo francese Dominique Wolton, ha raccontato di essere andato in analisi tra il 1978 e il 1979. «Ho consultato una psicanalista ebrea. Per sei mesi sono andato a casa sua una volta alla settimana per chiarire alcune cose. Lei era medico e psicanalista, ed è sempre rimasta al suo posto. Poi un giorno, quando stava per morire, mi chiamò. Non per ricevere i sacramenti, dato che era ebrea, ma per un dialogo spirituale. Era una persona molto buona. Per sei mesi mi ha aiutato molto, quando avevo 42 anni»[1]
Allo stesso modo, è notevolmente cresciuto il numero di psicologi cattolici che ci danno testimonianza di una fede e una psicologia che possono andare di pari passo. Tuttavia, portiamo ancora gli strascichi di questa guerra così accesa. Sono in molti, infatti, a ritenere ancora la psicologia una specie di pratica eretica e gli psicologi, dal canto loro, a vedere la religione come mera illusione per dormire meglio la notte. Ma dove sta la verità? La religione è solo un’illusione o può conciliarsi con la psicologia? Dio è solo l’immagine di una regola e un aiuto nella difficoltà o è qualcosa di più? I compiti della psicologia e della fede sono gli stessi, diversi o complementari? Nei prossimi articoli proveremo a rispondere a queste domande per fare chiarezza sul loro rapporto oggi, cercando di trovare la verità di fondo che le lega e forse scoprire che sono due facce della stessa medaglia.
Antonio Pio Facchino
[1] Politique et Société, Dominique Wolton, 2017
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