Missione e vocazione: orientarsi nel mondo del “chi sono”
Parliamo di vocazione, oggi?
Solitamente, quando si parla di vocazione o, peggio ancora, di chiamata, si pensa come prima cosa (e talvolta unica) a un giovane che varca le porte del seminario, una ragazza che indossa il velo monastico, a un frate o a una suora, pensieri che ai più, soprattutto ai giovani ricercatori del proprio posto nel mondo, fa drizzare i capelli e storcere le labbra, pensando “Dio ce ne scampi e liberi!”. Tra gli anziani e meglio informati, la si contrappone poi alla chiamata al matrimonio, creando un aut-aut in cui “o ti sposi o ti fai suora!” (cit. mia nonna). Ma attenzione, attenzione! La così temuta vocazione sacerdotale o la chiamata alla consacrazione, non è l’unica vocazione esistente!
Ha più senso parlare di vocazioni al plurale, non perché ci dobbiamo adeguare ai tempi in cui sarebbe fuori discussione pensare di proporre l’aut-aut ai giovani d’oggi, ma perché, in verità, la scelta dicotomica non è mai esistita. Spieghiamo meglio.
Un solo Padre, tante vocazioni
Vocazione deriva da chiamata, un verbo che in ebraico designava in senso specifico la chiamata che Dio rivolgeva all’uomo. E, leggendo l’Antico Testamento, non ci vuole molto per accorgersi che Dio non chiamava allo sportello gli scapoli per far loro scegliere mogli e mariti o entrare a vita consacrata tra le mura di un tempio.
Il Padre, invece, affidava loro una missione. Missione deriva dal latino mittere e vuol dire mandare. Ciascun uomo o donna chiamato da Dio, quindi, veniva mandato dalla sua gente o in terre lontane o dalla propria famiglia, a compiere qualcosa, a portare una parola, un cambiamento, ad agire… come profeta, come liberatore o guida di un popolo, come madre, come amministratore dei beni di una nazione, come re [1].
Non esiste una netta divisione tra i due termini che vengono usati in modo interscambiabile quando si parla della parola che Dio vuole dire al mondo con la tua vita, citando papa Francesco. Per fare un po’ di chiarezza, possiamo pensare alla vocazione e alla missione come le risposte alle domande “io chi sono? E per chi sono?” Ho ascoltato una volta la testimonianza di un’amica che diceva “essere moglie e madre la considero la mia vocazione; essere infermiera è la mia missione, dove posso, con il mio lavoro, aiutare chi soffre e portare Dio lì, in quei gesti, tra i letti di quel reparto, nei turni di lavoro…”.
Ognuno di noi è pensato, desiderato e voluto, chiamato da Dio all’esistenza; la chiamata principale di ogni uomo e donna è quella all’Amore, quindi a conoscere, riconoscere, amare e sapersi amati da Dio. Così viene indicata la via anche da Gesù stesso quando nel Vangelo “sintetizza” i Comandamenti in “Ama Dio con tutto il tuo cuore e il prossimo tuo come te stesso” [2]. Una chiamata che si esprime, dunque, sia in verticale, verso l’Alto, sia in orizzontale, verso l’altro ed è in maniera reciproca.
Ed è qui che le vocazioni diventano…infinite! Vuoi sposarti ed avere figli? Bene, la tua vocazione è al matrimonio, la tua missione sarà quella di “far circolare amore” lì con tuo marito e i vostri figli, di generare vita lì. Vuoi che le persone non soffrano e vorresti aiutarli nelle loro sofferenze? Bene, la tua chiamata è questa, la tua missione sarà generare vita lì, come medico o psicologo, o infermiere, con i pazienti. Senti che il tuo più grande desiderio è dare tutta la tua vita per portare il messaggio del Vangelo? Bene, bussa alla porta del tuo padre spirituale, potresti voler consacrare tutta la tua vita come sacerdote. Sei convinto che l’ignoranza miete più vittime che la povertà e hai desiderio ardente di insegnare e formare talenti e offrire opportunità? Bene, forse vuoi spendere le tue migliori energie insegnando; gli alunni e la scuola saranno il tuo terreno di missione, dove mettere in circolo l’Amore.
Potremmo fare infiniti esempi, tutti accomunati dallo sperimentare di essere figli amati, unici, di avere un desiderio ardente che ti guida, che ti orienta e che è ciò per cui spendi tempo, energie, che ti viene forse quasi spontaneo fare, che vedi che porta frutto… e che è il terreno in cui si realizza la tua chiamata.
Cose pratiche:
Come fare a sapere, tra le diverse cose che mi entusiasmano, qual è la mia? Può sembrare banale, ma in realtà la tua strada è quella che tu ti scegli. A meno che non sei cugino di gente tipo Mosè o Giona, per cui Dio più e più volte ha insistito affinché abbracciassero quella e quella determinata via (e, fidati, quando è così te lo fa capire in ogni modo possibile), ogni tua scelta, fatta ascoltando i tuoi desideri, per il bene, in libertà (quindi anche senza paura) e nella verità, viene benedetta da Dio e diventa la tua via. Questo significa fare la Sua volontà. Non che Lui detta e tu scrivi, ma che tu in Lui possa trovare la tua strada per vivere in pienezza e dare frutto, un frutto che resta e che va in profondità, che nutre l’altro, che lo salva, lo rende partecipe della Grazia, che fa bene a te e al mondo, insomma! E questo avvicina al Cielo!
Vi invito a dare uno sguardo all’esortazione apostolica di papa Francesco “Gaudete Et Exsultate” sulla chiamata alla santità, che offre un quadro approfondito ed esaustivo su questo argomento (chi meglio del papa per poterlo approfondire!) consultabile anche online per intero sul sito [3] ufficiale della Santa Sede.
Buona scoperta!!
Ilaria Di Giulio
[1] Vedi i diversi profeti, Giona, Eliseo, Isaia oppure la chiamata rivolta a Mosè, quella ad Abramo, la missione di Giuditta, il ruolo di Giuseppe come vice-re e amministratore in Egitto o il re David.
[2] Vedi il capitolo di 22 di Matteo e Giovanni 13, 34-35
No responses yet