Il battesimo, il miracolo da riscoprire

Nel tempo di Pasqua la liturgia parla spesso del battesimo, potremmo dire che è il tempo liturgico nel quale viene approfondito maggiormente il primo, e spesso il più sconosciuto, dei sacramenti. Ma il battesimo è davvero importante? Cosa significa per una persona adulta aver ricevuto da piccolo un po’ d’acqua sulla testa e un po’ di olio sul petto?

“Dobbiamo ricordare la data del nostro Battesimo, perché è un secondo compleanno”, parole di Papa Francesco di qualche anno fa. Inizialmente mi sono stupito di questa affermazione, ritenendo che fosse una frase forse un po’ esagerata. Come molti, infatti, non ho alcun ricordo vivo del battesimo, né l’ho mai considerato particolarmente rilevante nella mia vita. Questa uscita del Papa, però, mi spinse a chiedere con esattezza ai miei genitori la data del mio battesimo. E pian piano, grazie anche ad alcune letture fatte e ad alcune riflessioni ascoltate, ho cominciato ad apprezzare sempre più l’importanza di questo sacramento. Anzi, ora lo considero il punto fondante di tutta la mia vita. L’etimologia della parola “battesimo” ci può aiutare. Battesimo viene dal greco “baptizein”, che significa “immergere/lavare”. Questo fa sicuramente riferimento alla prima forma del battesimo, quella che anche Giovanni Battista praticò nella sua missione in Israele e che operò anche su Gesù. La persona veniva dunque totalmente immersa nell’acqua, per significare la purificazione da tutta la sporcizia del peccato e la rinascita: rinascita, esatto, perché l’immersione portava alla “morte” della persona “vecchia” e ad una nuova nascita, la nascita di una persona “nuova”, rinnovata completamente dall’acqua. Nei primi secoli del cristianesimo “l’immersione” poteva essere unica o triplice (qui una differenza con la modernità, in cui l’acqua è posta solo sul capo del battezzando), ma gli altri elementi che anche ora caratterizzano il battesimo erano già tutti presenti: la preghiera di esorcismo, la benedizione dell’acqua, l’olio santo, la veste bianca, la candela accesa, la figura dei padrini o delle madrine. Questi segni hanno dietro di sé un alto valore spirituale, non sono segni di una cerimonia di folklore: sono segni e gesti che fanno nascere la persona di nuovo, anzi, la fanno “morire” e rinascere dall’alto. Qualcuno può dire: “Ma che peccato può aver mai commesso un bambino di pochi mesi? Perché pregare perché siano eliminati i suoi peccati?” Giustamente siamo arrivati alla concezione che tutti gli uomini siano uguali, senza distinzione. Come vi è uguaglianza nei pregi e nelle virtù (nell’essere creati cioè ad “immagine e somiglianza di Dio”) vi è purtroppo uguaglianza e somiglianza anche nel male: appartenendo tutti al genere umano, abbiamo ereditato non solo le caratteristiche fisiche dei nostri antenati, ma anche un elemento negativo, quello che viene chiamato il “peccato originale”. Possiamo dire che questo sia il motivo per il quale Gesù sia venuto al mondo, sia morto e risorto: per liberarci dal peccato originale e farci rinascere a vita nuova. La liturgia del battesimo dice che la persona battezzata viene “sepolta con Cristo e rinasce a vita nuova”, cioè risorge: il battesimo, cioè, compie in pochi minuti quello che Gesù ha compiuto negli ultimi giorni della sua vita: morte e risurrezione! E chi risorge non muore più, ha come meta il Cielo.

Qui il primo aspetto, chiaramente imprescindibile del battesimo: i battezzati sono nuove creature, sono morti al peccato e puri, come indica la veste bianca che viene donata al termine del rito. 

Ma vi è anche un secondo aspetto, che è quello che viene propriamente approfondito nel tempo di Pasqua e che è particolarmente utile anche per chi si è battezzato qualche decennio fa: con il battesimo, infatti, entriamo a far parte della famiglia di Dio, diventiamo figli di Dio. Forse ci si può abituare a questa espressione, ma vi invito a leggerla e a meditarla come se lo faceste per la prima volta: tu, io, se battezzati, siamo figli di Dio. Non semplici creature, non individui buttati nel mondo per caso, non orfani in cerca di un senso per la propria vita: siamo figli di Dio! E non tutti insieme, come massa informe: ognuno è una sorta di “figlio unico” per il Padre, il centro di tutte le sue attenzioni e di tutto il suo amore. Senza il battesimo questo dono, anzi, questo miracolo, non ci sarebbe. 

Tanti, nell’antichità, hanno cercato gli dei, hanno cercato di avvicinarsi ad essi, e quando scorgevano un messaggero degli dei o un semidio (pensiamo ad Ercole, ad esempio) erano pieni di stupore, rimanevano quasi pietrificati per l’emozione. Bè, guardandoci allo specchio dovremmo provare, ogni tanto, la stessa sensazione: tu non sei uno qualunque, sei figlio di Dio, del Dio che ha creato l’universo, che ha creato l’atomo e le galassie, che ti ha amato da sempre e che non ha esitato a mandare il suo Figlio unigenito per salvarti, per farti rinascere a vita nuova, perché ti vedeva immerso nelle tenebre e voleva tirarti fuori, voleva riportarti alla luce.

La liturgia della notte di Pasqua, del giorno di Pasqua e di tutto il tempo di Pasqua ci fa riscoprire proprio questa grande grazia, che è il battesimo. Il battesimo, infatti, non si è concluso il giorno in cui si è celebrato il rito, ma va avanti per tutta la nostra vita. Tutti i giorni della nostra vita dobbiamo e possiamo immergerci in Gesù, dobbiamo e possiamo chiedere a Lui di purificarci, di darci la sua vita nuova, e dunque i Suoi sentimenti, i Suoi pensieri, le Sue parole. Se altri sacramenti come la confessione o la Comunione sono frequenti, e quindi sono forse più “vivi” per noi, non dobbiamo mai dimenticare che essi trovano la loro base nel battesimo, che ci dona quella veste bianca che noi portiamo per tutta la vita: ci avvolge, e ci dà il “pass” per vivere da figli di Dio sempre, ogni giorno. Sta a noi cercare di tornare ogni giorno, ogni mattina, a quel momento, al momento in cui siamo diventati figli di Dio, per riuscire a vivere così da risorti. Perché anche se non lo sappiamo, noi siamo già “morti” una volta, e anche già risorti: nel momento del nostro battesimo. Il tempo di Pasqua serve proprio a questo: a farci comprendere che noi siamo risorti con Cristo, e che non importa se la tua o la mia veste bianca è imbrattata dal peccato: la veste c’è, è per sempre, e tornando a Gesù la puoi lavare in ogni momento, per farla tornare a splendere e per tornare tu stesso a splendere, perché il Padre vuole questo per i suoi figli: che splendano come la luce di una candela in piena notte, come il sole in un giorno di primavera.

Usiamo questo tempo di Pasqua, questa primavera (che non a caso è anch’essa una rinascita, dopo l’inverno) per approfondire questa realtà: sono figlio/a di Dio. Se ci abbiamo fatto l’abitudine, chiediamo in preghiera di sperimentare la bellezza di questa verità come se ce la comunicassero per la prima volta; se non ci abbiamo mai pensato, rimaniamo a riflettere, magari pregando o anche passeggiando nella natura che si risveglia e che rinasce, su questa così sconvolgente e così bella. Andiamo magari a vedere, se non la conosciamo, la data del nostro battesimo, il giorno in cui abbiamo cominciato ad essere “familiari” di Dio e fratelli con Gesù e tra di noi. La vita da battezzati “consapevoli”, da figli di Dio, ha tutto un altro gusto.

Francesco Simone

One response

  1. Ho molto apprezzato le tue parole. Effettivamente dimentichiamo molto spesso i doni ricevuti dai Sacramenti e non ci soffermiamo abbastanza a riflettere su quello che essi ci donano e quanto ci avvicinano al Padre Celeste. Continua così e aiutaci a meditare

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