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San Giuseppe: da figlio a padre

Oggi si celebra la festa di San Giuseppe, il papà di Gesù. Dai vangeli non sappiamo molto di lui, e neanche la tradizione orale della chiesa ne parla molto. L’iconografia lo dipinge come un uomo anziano, forse per sottolinearne la saggezza e la giustizia, e dalle litanie possiamo immaginare che uomo incredibile dovesse essere. Lo conosciamo con vari nomi, ad esempio l’Ombra del Padre o il Padre in Terra del Figlio di Dio, ma oggi vogliamo guardarlo in un’altra ottica: Giuseppe figlio. 

Si, perché per diventare santi, tutti passiamo dalle stesse tappe di vita. E facendoci guidare dal vangelo di Luca, proviamo a dimenticare ciò che sappiamo di lui, anche il fatto che sarebbe stato il papà di Gesù, e vediamo il mondo con i suoi occhi, perché anche lui non aveva idea di come sarebbe andata la sua vita. Proviamo a immaginarlo come un ragazzo. Così era Giuseppe, poco più che ventenne probabilmente, con un buon lavoro da falegname, fuorisede perché, nato a Betlemme (in Giudea, la regione più ortodossa di Israele, vicino Gerusalemme), si era trasferito a Nazareth, quindi con i genitori lontani. Era un ragazzo molto religioso, perché a quei tempi Nazareth era una città costruita e abitata da uomini della Giudea che erano andati nella Galilea, la regione a nord per riportare quei popoli alla dottrina ebraica. Quindi forse era anche un ragazzo che aveva voglia di condividere la sua fede con gli altri, oggi diremmo che voleva evangelizzare. A un certo punto della sua vita si innamora della ragazza più bella del mondo, non solo perché era Maria, ma perché agli occhi di chi è innamorato, l’altro è sempre la persona più bella del mondo e sorpresa delle sorprese, anche lei si innamora di lui. Tanto che decidono di fidanzarsi. 

Ma questa non è una commedia rosa come tante, e la storia non si chiude al grande bacio. Anzi “Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” (Mt 1, 18-19). 

Forse siamo abituati a pensare a questo momento con un San Giuseppe arrabbiato, che si sente tradito da Dio e della donna che ama. Il vangelo qui non si concentra su cosa ha provato, ma su cosa stava pensando di fare, perché noi non siamo le nostre emozioni e non siamo chiamati a decidere solo su quello che proviamo. Ma stiamo parlando di un ragazzo, quindi la sua emozione principale sarà stata la paura. Si, perché fino a quel momento Giuseppe, come leggiamo nel vangelo, era Giusto, ma non era Uomo. Perché, nella santità della sua vita, non si era ancora donato completamente per qualcun altro. Arriva un momento nella vita di ognuno di noi, in cui ci è chiesto di dare tutto, senza risparmiarci, per qualcuno che amiamo, e dare tutto comprende anche dare ciò che più abbiamo caro: noi stessi, la nostra libertà, la nostra voglia di fare ciò che vogliamo quando vogliamo e come lo vogliamo. Quella libertà che tanto cerchiamo, che tanto custodiamo, al punto molte volte da diventare egoisti e narcisisti, siamo chiamati a metterla da parte per qualcun altro. Forse non lo avevamo nemmeno chiesto, ma la vita, e attraverso lei Dio, ci chiede di farlo. E questo, fa paura. Fa paura a me che ti scrivo, farà paura a te che leggi e sicuramente ha fatto paura a Giuseppe. Perché in fondo, vivere per sé stessi è più semplice, più comodo e più facile. Come abbiamo detto tante volte qui a Parusia, la scelta davanti alla paura è sempre tra lottare e scappare. Giuseppe sceglie di scappare via. Rivuole la sua vita, rivuole le sue certezze, rivuole la Maria che lui aveva in mente, non quella che nella realtà aspetta il Figlio di Dio. 

Che abbia avuto paura ce lo conferma il vangelo, che poco dopo ci dice: “Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (Mt 1, 20;24).

Giuseppe ha paura, è solo e non sa con chi parlare. Allora è Dio a parlare con Lui, mandandogli un angelo in sogno. Ma non serve che l’angelo appaia in sogno con le ali per riconoscere che sia mandato da Dio (probabilmente dubiteremmo anche in quel caso). Un angelo può essere quell’amico che ti sta accanto e ti dice che il sacrificio che devi fare vale assolutamente la pena, che non sarai solo e che tutto ciò che sta accadendo, anche se fa paura e non è proprio come volevi, è opera di Dio. “Non temere”, tra le frasi più belle che possiamo sentirci dire, e che tante volte diamo per scontata e non ascoltiamo. Ma Giuseppe sceglie di fidarsi di quelle parole. Con poche o nessuna garanzia se non un sogno, si lancia in questa avventura e prende con se Maria, si assume le sue responsabilità, e come figlio di Dio, diventa uomo, padre e sposo. Giuseppe sceglie di cedere quella sua parte di libertà, di sacrificarla, e quindi santificarla, per qualcosa di più grande. Non tanto essere il padre in terra del figlio di Dio, ma semplicemente il padre di Gesù e lo sposo di Maria. Ha ottenuto ciò che aveva chiesto, ma in un modo molto più bello. 

Anche a noi, per diventare uomini e donne, padri e madri, per raggiungere la pienezza della nostra vita, viene chiesto di sacrificare una parte della nostra libertà, ci viene chiesto di passare dall’essere figli all’essere adulti e quindi all’essere genitori. Ma questa non è una condanna o qualcosa da cui fuggire, ma un dono da accogliere, perché in quel dono, chi ha dei figli lo sa, è presente tutto ciò che si può desiderare.

Antonio Pio Facchino

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