I “traditori” meritevoli di perdono

Cosa c’è di più doloroso di un tradimento subito? Sapere che una persona a noi vicina abbia tradito la nostra fiducia, rinnegando l’amore o l’amicizia che ci legava per motivi più o meno futili. Il termine “traditore” deriva dal latino ma, sebbene inizialmente volesse indicare una “consegna” (da qui “tradizione”), nel III secolo assunse un significato totalmente nuovo. 

Come detto, nel corso del III secolo, la Chiesa dovette affrontare l’ultima terribile stagione delle persecuzioni. In modo particolare, sotto Diocleziano (284-305), l’impero romano tornò a macchiarsi del sangue dei cristiani i quali, diffondendosi a macchia d’olio nella società ma essendo ancora una setta non riconosciuta dalla Legge, erano visti come dei possibili attentatori all’ordine pubblico e alla sfera religiosa ufficiale. La Chiesa aveva già dovuto affrontare diverse persecuzioni, alcune davvero pesanti. Tuttavia la repressione di Diocleziano superò ogni immaginazione. Molti cristiani, temendo per la propria vita e per quella dei propri cari, di fronte alla morte imminente cedettero alla paura e rinnegarono la fede in Cristo. Costoro vennero definiti “lapsi” (letteralmente “scivolati”). Attraverso una lettera di san Cipriano, vescovo di Costantinopoli vissuto poco dopo i fatti, siamo a conoscenza di una classificazione dei lapsi, sulla base della gravità della propria colpa: abbiamo, ad esempio, i “sacrificati” ovvero coloro che avevano offerto sacrifici agli dei come prova della loro fede pagana oppure i “thurificati” cioè quanti avevano bruciato l’incenso agli dei. Ma, tra tutti, i colpevoli di un reato ben più grave furono i “traditores”: costoro, quasi sempre vescovi o sacerdoti, avevano consegnato le Sacre Scritture alle autorità romane, mettendo in pericolo quelle comunità per cui quei libri erano sacri e fondamentali. A partire da questo momento, come vi dicevo prima, il “tradimento” non è più solo una consegna ma si carica dell’effetto del gesto, del dolore inferto ad una persona o direttamente ad una comunità, priva ormai del suo fondamento e di quelle guide pastorali che hanno rinnegato Cristo. Molti pensavano al tradimento di Giuda che aveva sì consegnato Gesù al Sinedrio (causa) ma aveva anche inferto un colpo al suo cuore (effetto).

Ora va da sé che sarebbe inutile giudicare la scelta di queste persone. Per lo meno non è questa la nostra intenzione. Ma il tradimento non restò impunito nel mondo antico. Pochissimi anni dopo, con l’avvento di Costantino ed il conseguente editto di Milano, la Chiesa uscì dalle persecuzioni e molti “lapsi” fecero mea culpa chiedendo di poter essere riammessi nella comunità, facendo ammenda per il loro momento di debolezza. Qui la Chiesa quasi si spaccò internamente. Specialmente in Africa, i seguaci di Donato (i donatisti) ritenevano che, come Cristo o gli Apostoli avessero abbracciato la loro croce affrontando con coraggio il martirio e la morte, così non si poteva perdonare chi aveva mostrato paura e viltà, mettendo in pericolo il futuro della Chiesa. Eppure ci fu il grido anche di molti che invocavano clemenza, accogliendo la richiesta di perdono. La cosa davvero toccante è che i principali difensori dei lapsi spesso furono i cristiani condotti in prigione e prossimi al martirio. Conoscevano la paura che albergava nel cuore dell’uomo o mostrarono quella stessa compassione di Gesù per gli apostoli durante la sua passione.

A domani per la seconda parte…

Emanuele Di Nardo

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